XXIII domenica del tempo

Il vangelo di questa settimana conclude quella sezione del vangelo di Luca (capitoli 13 e 14) in cui – a più riprese – si parla della radicalità che comporta la scelta di seguire il Signore.

Le parole di Gesù, da questo punto di vista, possono apparire dure, fin troppo esigenti, ma per coglierle bene vanno collocate nel contesto in cui Egli le ha pronunciate. Noi facciamo infatti spesso l’errore di prendere frasi o pezzetti di vangelo qua e là e applicarli immediatamente alla nostra vita quotidiana, dimenticando (primo) che è un’operazione totalmente irrispettosa nei confronti del testo, perché porta a tradirne il senso autentico e (secondo) che la vita di allora era molto diversa da quella di oggi.

Per comprendere la parole di Gesù è pertanto necessario fare un viaggio nel tempo e nello spazio, per andare a vedere nella Palestina di 2000 anni fa cosa volessero dire le sue parole, e fare un lavoro di comprensione del testo che non estrapoli singole frasi ad effetto, ma provi a capire il senso complessivo del discorso.

Partiamo dalla prima frase del brano di oggi, sulla quale poi torneremo: «Una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”».

Queste parole, unite a quelle finali («Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»), sono quelle che esprimono la radicalità della sequela del Signore: odiare (così nel testo greco) il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, la propria vita; portare la propria croce; rinunciare a tutti i propri averi.

Prima di entrare nel merito di questa radicalità, un’osservazione: nell’elenco delle persone da “odiare” manca il marito! Perché?

Il punto è che siamo in una società (quella della Palestina di 2000 anni fa) dove gli interlocutori riconosciuti sono gli uomini. Donne e bambini non sono considerati persone in tutto e per tutto, in qualche modo sono sempre pensati come in relazione a qualcun altro, di “proprietà” di qualcun altro

(padri, mariti, fratelli, cognati…). È vero che in altri passi del vangelo Gesù rompe con questa mentalità ebraica del suo tempo e riconosce alle donne la titolarità di discepole e di interlocutrici alla pari, ma il passaggio del vangelo di oggi risente invece della mentalità dell’epoca: chi parla (o chi scrive) si rivolge a degli uomini, a degli uomini adulti (all’interno di una fascia di età ampia: possono essere giovani che sottostanno ancora all’autorità paterna o capi di famiglia che hanno già moglie e figli). In ogni caso a dei maschi pensati all’interno del loro clan famigliare (fratelli, sorelle, ecc…).

A loro Gesù dice che, se sono intenzionati a seguirlo, prima devono pensarci bene. Pensarci bene come uno che «volendo costruire una torre», si «siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine…». Deve pensarci bene come ci pensa bene un re che «partendo in guerra contro un altro re», «siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila…».

Perché deve pensarci così bene? Perché la scelta di seguire Gesù, cioè di vivere secondo la sua proposta (pensarsi come figlio di un Padre che ama tutti e quindi come fratello di tutti) porta a rompere i legami di sangue (se ogni uomo è mio fratello, il mio fratello di sangue non ha più diritti su di me degli altri). In una società fortemente patriarcale e strutturata su base tribale, Gesù rompe i vincoli precedenti per instaurare una nuova forma di relazione. Nella sua prospettiva non si deve rendere conto al clan, ma alla comunità di coloro che provano a vivere la proposta di Gesù.

E questo è rivoluzionario, ma atroce: può portare all’esclusione dalla vita famigliare («Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo»), alla rinuncia alla fruizione dei beni della famiglia – quelli individuali non esistevano in quella società – («Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo») e a subire persecuzioni per la scelta di fidarsi del Signore («Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»).

Oggi la società è molto diversa: la sottomissione della donna, il patriarcato, l’organizzazione tribale sono per lo più superate (almeno nel nostro occidente, tranne che per sacche di resistenza per esempio nelle organizzazioni mafiose). Bisognerebbe allora chiedersi cosa implichi la radicalità della sequela del Signore oggi: la rottura con cosa? Cosa impedisce oggi la fraternità universale che Gesù propone?

Letture:

Dal libro della Sapienza (Sap 9,13-18)

Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza».

Dalla lettera a Filèmone (Fm 1,9-10.12-17)

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,25-33)

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

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