XXVII domenica del tempo

Il vangelo di questa domenica è diviso in due parti.

La prima (vv. 5-6) contiene la richiesta degli apostoli «Accresci la nostra fede!», rivolta a Gesù, cui segue la sua risposta. Essa si allunga poi in un discorso (che diventa la seconda parte del vangelo), che chiede agli ascoltatori di immedesimarsi in un padrone che ha un servo. La situazione descritta è quella di chi trova del tutto normale che un sottoposto – al
rientro dalla giornata di lavoro – prepari da mangiare per il suo signore e lo serva. Solo a quel punto mangerà e berrà anche lui.

Cominciamo dalla prima parte.

Innanzitutto, cosa ha occasionato la richiesta dei discepoli?

La risposta a questo quesito è contenuta nei primi 4 versetti del cap. 17 del vangelo di Luca, che la liturgia omette: «Disse ai suoi discepoli: “È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi! Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: ‘Sono pentito’, tu gli perdonerai».

È proprio a questo punto che gli apostoli esclamano: «Accresci la nostra fede!».

La loro richiesta è perciò determinata dalla trepidazione di fronte a quanto Gesù sta loro proponendo: gli scandali sono inevitabili, state attenti a non scandalizzare, se capita che qualcuno scandalizzi voi, perdonatelo.

La richiesta degli apostoli è una confessione di incertezza: Saremo in grado di vivere in questo modo?

La risposta di Gesù, per quanto possa apparire dura, in realtà va nella direzione di un incoraggiamento: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». È come se dicesse: con una fede piccola come un granello di senape potreste sradicare un gelso e piantarlo nel mare, figuratevi se non ne avete abbastanza per provare a fare quanto vi propongo! Secondo Gesù, cioè, è nelle possibilità dei suoi discepoli avere fede, avere fiducia nella proposta di vita che gli fa, nella sua bellezza, nella sua fattibilità. È possibile provare a vivere senza scandalizzare gli altri (senza essere – letteralmente – pietra d’inciampo nella vita degli altri) e perdonare chi scandalizza noi (cioè chi ci intralcia la via – o la vita).

Anzi, secondo lui, vivere seguendo la sua proposta (cioè abitando questa terra da figli e non da padroni, da fratelli e non da rivali, da amanti e non da odianti, da empatici e non da individualisti, perdonando e provando a non fare del male) non solo è fattibile, ma è qualcosa di ovvio per chi vuol essere suo discepolo.

Ovvio come è ovvio che un servo – dopo aver lavorato nei campi o pascolato il gregge, rientra, prepara da mangiare per il suo padrone, lo serve e – solo dopo – mangia lui.

Tradotto in termini moderni: vivere come propone Gesù per un discepolo dovrebbe essere ovvio come è ovvio che se ho la donna delle pulizie, torno a casa e trovo la casa pulita.

Vivere secondo il vangelo, perciò, non può essere fonte di vanto. Non può essere nemmeno descritto come il cammino eccezionale di pochi santi. Vivere secondo il vangelo, vivere secondo la proposta di Gesù è “quanto” un discepolo “deve fare”, è la vita normale del discepolo.

Se riuscissimo a comprendere che essere discepoli non vuol dire assolvere a dei precetti o ripetere formule, ma – ovviamente – provare a vivere come Gesù, provare ad amare come Gesù, provare a reagire al male come ha reagito lui, forse il mondo sarebbe un po’ migliore.

Letture:

Dal libro del profeta Abacuc (Ab 1,2-3;2,2-4)

Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede».

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (2Tm 1,6-8.13-14)

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10)

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

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