Il vangelo di questa domenica ci propone il secondo annuncio della passione di Gesù.
Non andrà molto meglio del primo (che abbiamo visto la settimana scorsa).
RILETTURE CONTEMPORANEE DEL VANGELO
Il vangelo di questa domenica ci propone il secondo annuncio della passione di Gesù.
Non andrà molto meglio del primo (che abbiamo visto la settimana scorsa).
Dal vangelo secondo Marco (Mc 9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Il vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica è il brano centrale di Marco.
È il testo che segna il passaggio tra il “primo tempo” della sua opera e il “secondo tempo”.
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8,27-35)
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Il brano di vangelo di questa domenica ci presenta una delle “fuoriuscite” di Gesù dalla Palestina.
Nel capitolo 7 di Marco, infatti, dopo la polemica con i farisei, Gesù va prima nella regione di Tiro e Sidone, dove incontra la donna siro-fenicia (uno degli incontri più interessanti della sua vita, perché quella donna riuscirà a fargli cambiare idea, cosa che non capita altre volte nel vangelo), e poi «di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone […] in pieno territorio della Decàpoli».
Siamo, dunque, in terra straniera e Gesù fa un altro incontro particolare: «Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano».
Dal Vangelo di Marco (Mc 7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Riprendiamo quest’oggi la lettura del vangelo di Marco.
I farisei pongono a Gesù una domanda che ha un chiaro tono di biasimo: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,1-8.14-15.21-23)
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Questo epilogo è l’apice di tutto il capitolo VI di Giovanni, che la liturgia domenicale ci ha proposto in questo tempo estivo. La Parola ci ha condotto, in un cammino a spirale, sempre più in profondità: dalla folla, che appare all’inizio, prima affascinata e poi delusa da Gesù, ai Giudei che discutono con lui nella sinagoga di Cafarnao, ai discepoli, ai dodici, fino a Pietro, che rappresenta ciascuno di noi, da soli, con il Signore Gesù, mentre ci domanda un’adesione personale, sempre fragile e inferma, ma definitiva, a lui, nella sua verità sconvolgente… Bisogna rileggere come scritto per noi, per la nostra chiesa, per la nostra comunità o famiglia, nel nostro percorso di adesso… questo discorso di Gesù, iniziato dopo la strepitosa moltiplicazione dei cinque pani e due pesciolini, quando aveva già perso per strada tanta gente, che non capiva il rifiuto di divenire un re politico. Quanti dispersi lungo il cammino al suo seguito, per l’esperienza tragica quanto imprevista, che lui, solidale nel nostro cammino, non risolve i nostri problemi umani, ci lascia nel dolore e nell’impotenza a dominarlo! E ci “propone”, invece, un tale “globale stravolgimento di senso”, rispetto alle attese umane della fame e sete di vita, da scandalizzare l’uditorio – e anche noi, se non avessimo banalizzato e anestetizzato ormai la capacità di ascolto – di fronte ad affermazioni di un linguaggio volutamente duro e repellente e insieme di una concretezza e chiarezza incontrovertibili, mai sentite in bocca a nessuno al mondo!”… Io sono il pane disceso dal cielo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno…. questo pane non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno. I discepoli stessi vanno in crisi. Sono proprio quelli che erano andati per le strade dei paesi lì intorno, ad annunciare nel suo nome che il Regno di Dio era in arrivo. Sono quelli che avevano da lui imparato ad annunciare la pace … a guarire i malati e a perdonare, a scacciare ogni demone oppressore, rischiando di essere respinti dalla gente. Ed erano poi stati riaccolti da lui, dopo la missione, e consolati! Adesso l’incredulità e la “mormorazione” s’insinuano nel loro cuore, insidiano la loro fede – la mormorazione che nella Bibbia mina dall’interno ogni impresa “divina” sull’uomo, dal paradiso terrestre alla liberazione dall’Egitto, e adesso contagia anche gli “impresari” più coinvolti e più convinti della sua azione, come del resto era entrata nel cuore di Mosè e di Elia, e della processione infinita di profeti e di credenti che hanno speso la vita per seguire il Signore. Adesso è presente fin dentro il gruppo degli apostoli scelti personalmente da lui stesso… E Gesù ne è cosciente, … e ci riporta tutti sulla soglia della conversione radicale, dove l’esperienza dura della diversità tra noi e lui, è così abissale, ma la sua insistenza talmente intensa, che rimane una soluzione sola: rinunciare per sempre ad ogni via di fuga… E lasciare che la carne (la nostra cosa più nostra!) pianga il destino tragico segnato su di lei dal Signore: “non giova a nulla”!
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69)
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».