La prossima domenica la liturgia del Tempo ordinario si interrompe ancora per celebrare la Festa della Dedicazione della Basilica lateranense. È la festa della cattedrale di Roma, della chiesa cioè nella quale vi è la cattedra del vescovo della città, il papa.
Perché allora questa ricorrenza è celebrata dalla chiesa universale e non solo da quella di Roma?
Perché San Giovanni in Laterano è considerata, in un certo senso – dice il Messale – la madre di tutte le chiese. Essa, infatti, è la prima chiesa di cui si ricordi la consacrazione, avvenuta nel IV secolo, dopo che fu costruita per volontà dell’imperatore Costantino, al tempo di papa Silvestro I.
L’origine storica della festa è perciò la consacrazione dell’edificio della Basilica Lateranense che rende San Giovanni in Laterano, madre di tutte le chiese.
Le letture ci invitano tuttavia a spostare la nostra attenzione dall’edificio per rivolgerla a noi stessi (dice san Paolo: «Fratelli, voi siete edificio di Dio», «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?») e a Gesù (l’evangelista Giovanni, infatti, commenta che «egli parlava del tempio del suo corpo»).
La celebrazione di questa domenica, dunque, al di là della titolazione della festa, spinge a concentrarsi sulle persone, sul loro essere dimore di Dio stesso.
A tal proposito, la prima cosa da dire è che questo modo di guardare agli esseri umani restituisce loro una dignità profonda, chiunque essi/esse siano: ciascuno, ciascuna è tempio di Dio (anche noi).
La seconda è che – se è così – abbiamo una responsabilità grandissima, nei confronti di noi stessi, noi stesse, e nei confronti degli altri e delle altre.
Nei confronti di noi stessi e noi stesse perché – come dice san Paolo «ciascuno stia attento a come costruisce»: il senso della nostra vita, il nostro scopo, il nostro orizzonte è quello di “costruirci” e custodirci come tempio di Dio, con le fondamenta in Gesù, nel suo vangelo, come dice san Paolo (come un saggio architetto io ho posto il fondamento […] che è Gesù Cristo»).
Nei confronti degli altri e delle altre perché – se tutti e tutte siamo dimora di Dio – quella dimensione speciale che ci fa creature amate e connesse col Signore va riconosciuta, preservata, aiutata a svilupparsi.
L’intenzione dei testi della liturgia odierna è, perciò, come sempre, quella di riportarci al nostro oggi: a considerare con serietà chi siamo (noi, gli altri, le altre) e quanto siamo preziosi/e; chi vorremmo essere e come potremmo diventare in questa nostra storia, custodendoci gli uni gli altri, le une, le altre.
Come sarebbe bello un mondo in cui guardarci così.