La domenica di Pasqua i vangeli ci presentano i segni della risurrezione di Gesù.
La risurrezione, infatti, non è narrata, perché nessuno vi ha assistito.
Ciò che è raccontato è piuttosto la progressiva presa di coscienza da parte della comunità delle discepole e dei discepoli di ciò che era accaduto.
Ecco perché la risurrezione è l’evento della vita di Gesù più messo in discussione, fin da subito, da parte dei non cristiani: perché non fu un evento pubblico (come il battesimo o la crocifissione), perché nemmeno i suoi o le sue erano presenti (come alla trasfigurazione o all’ultima cena) e perché – effettivamente – ha del paradossale (vincere la morte).
Eppure la fede nella risurrezione è indubbiamente uno dei centri nevralgici dell’annuncio delle prime comunità cristiane.
Una fede che è andata fondandosi proprio a partire da quei segni di cui il vangelo ci parla.
Il primo è indubbiamente il sepolcro aperto e vuoto.
Un segno debole, perché – come accadde fin da subito – gli si poteva opporre la teoria per cui il corpo di Gesù fosse stato rubato, magari dagli stessi discepoli (per inscenare poi la sua risurrezione).
Qualcuno addirittura ipotizzò che Gesù non fosse realmente morto e che la frescura del sepolcro lo avesse rimesso in sesto dopo la crocifissione.
Il secondo segno è l’annuncio degli angeli che proclamano la risurrezione di Gesù: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto».
Anche questo è un segno debole: innanzitutto perché ha per testimoni le donne, la cui deposizione in tribunale era considerata priva di valore. In secondo luogo perché, i loro stessi compagni di fede ritengono che stiano vaneggiando: «Raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse».
Il terzo e “decisivo” segno sono le apparizioni del risorto (non raccontate ancora nel vangelo della domenica di Pasqua, ma che avremo modo di sentire nelle prossime settimane).
Anche questo risulterà però un segno debole: Gesù risorto appare solo alle sue / ai suoi ed evidentemente questo diventa subito motivo per dire che è tutta un’invenzione o (al massimo) un’autosuggestione.
Ciò che è certo è che la prima comunità cristiana, progressivamente, ha maturato la fede nella risurrezione, tanto che persone che fino a poco tempo prima erano scappate, avevano tradito e rinnegato, si erano rintanate per paura, ecc… a un certo punto escono allo scoperto e annunciano pubblicamente la risurrezione di Gesù (assumendosi tutte le conseguenze storiche che questo comportava).
A noi, a cui la fede nella risurrezione è sempre stata presentata come una certezza incontrovertibile, qualcosa a cui credere senza riserve, il pilastro della vita cristiana… il percorso incerto e fragile della sua origine può lasciare perplessi e magari anche un po’ sconvolti.
Forse però, attraversare questo momento di smarrimento, può aiutarci a diventare un po’ più maturi nella fede, un po’ più pacati, un po’ più umili.
Come tutte le cose serie della vita (per esempio l’amore), la fede nella risurrezione si basa sul credito dato a segni deboli, alla parola altrui, a testimonianze fragili, ma ritenute credibili.
La risurrezione di Gesù non ha la certezza dell’evidenza incontrovertibile, della dimostrazione al di là di ogni ragionevole dubbio, ma ha i tratti della speranza, della fiducia accordata, dell’accoglienza di un orizzonte di senso.
Ha la stessa dinamica di ogni cosa seria della vita.