Pentecoste

Questa domenica la Chiesa celebra la Pentecoste: 50 giorni dopo Pasqua.

Il significato liturgico di questa scansione temporale è stato presentato settimana scorsa, in occasione della festa dell’Ascensione.

In effetti, al di là dei giorni intercorsi tra la risurrezione di Gesù, il suo ritorno presso Dio e il dono dello Spirito santo, questi tre eventi non possono che essere spiegati insieme.

La questione potrebbe essere posta così: Gesù è morto in croce un venerdì pomeriggio, gettando nello sconforto e nel terrore i suoi amici più cari. Ma qualche giorno dopo, il medesimo gruppetto delle persone a lui più vicine rompe il cerchio del silenzio e della paura e inizia ad annunciare che il Maestro non è rimasto morto nella tomba. È risorto.

Proclamano questa notizia con un’energia ed un entusiasmo sorprendenti: da un lato, perché così lontani dall’atteggiamento che li aveva caratterizzati fino a poco prima; dall’altro, perché si trattava di un comportamento che metteva seriamente a rischio la loro esistenza.

Cos’è successo che ha modificato così radicalmente la loro situazione?

Loro dicono: l’incontro con Gesù risorto e il dono dello Spirito santo.

A noi non è dato sapere come siano avvenuti questi incontri; abbiamo “solo” le loro narrazioni, che però non sono descrizioni cronachistiche ma testi teologici: non è possibile pertanto sapere come siano andate le cose, ma piuttosto indagarne il senso.

La prima generazione cristiana ha infatti voluto trasmettere a quelle successive questo elemento della fede: l’esperienza storica di Gesù non si è conclusa con la morte. Dio lo ha risuscitato.

Questa vita nuova di Gesù, questo modo nuovo di essere è conforme al modo di essere del Padre: è un ritorno a lui, è un ritorno in lui. È un ritorno alla condizione di Figlio, nato dal Padre prima di tutti i secoli…

Un ritorno che crea una situazione nuova (o il riproporsi di una situazione vecchia): Dio è inaccessibile ai nostri sensi. Se in Gesù di Nazareth l’umanità ha visto Dio, ha udito la sua voce, ha toccato il suo corpo, ha annusato il suo profumo, ecc… prima e dopo la sua esperienza storica questo vedere, udire, toccare, annusare, gustare non è (più) possibile.

Questo è il problema di cui voleva rendere ragione la festa dell’Ascensione: è il modo con cui la prima Chiesa ha spiegato l’inaccessibilità di Gesù risorto alle generazioni successive. Come se ci avessero detto “Non potete incontrarlo, guardarlo, ascoltarlo, ecc… come abbiamo fatto noi, perché è tornato da Dio”.

Bene, ma – come accennavamo già settimana scorsa – questa considerazione apre semplicemente ad un altro problema: “Com’è possibile oggi, per noi, entrare in relazione con un Dio inaccessibile ai nostri sensi?”.

Ecco la Pentecoste, che non è semplicemente la festa che ricorda il dono dello Spirito santo (come se Dio Padre, con Gesù risorto, dalla loro inaccessibilità, mandassero “qualcosa” di loro per farci sentire meno soli), ma è la festa che spiega il nuovo modo di essere presente di Dio nella storia: non una parte di Dio ci raggiunge (come se Dio fosse diviso in 3 parti e lo Spirito fosse quell’un terzo di Dio che sta con noi, mentre gli atri due terzi chissà dove sono e di cosa si occupano), ma tutto Dio (tutta la Trinità) è presente in spirito nella storia.

Cosa vuol dire tutto ciò?

Significa che la prima generazione cristiana voleva comunicarci questa sua fede: Gesù è risorto, è tornato presso Dio e come Dio è inaccessibile ai nostri sensi (come diceva il mio amico frate “ Se lo senti, non è Dio”), ma è un Dio presente ed è un Dio riconoscibile, perché in Gesù abbiamo conosciuto la sua interiorità, com’è fatto, come ragiona…

Solo la conoscenza del volto di Dio che ci ha mostrato Gesù (dunque solo la conoscenza della sua rivelazione attestata, fatta testo, fatta libro, cioè solo la conoscenza dei vangeli) può abilitarci a riconoscerlo, a riconoscerne la presenza, a non confonderlo con tutto ciò che, pur essendo religioso, non c’entra con lui… e in qualche modo a entrare in dialogo con lui, non attraverso i sensi, ovviamente, ma attraverso il nostro spirito: «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».

Letture:

Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,8-17)

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

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