Ascensione (commento)

La liturgia della parola di domenica ci presenta le due versioni attraverso cui l’evangelista Luca narra l’ascensione di Gesù.

Luca – autore anche degli Atti degli apostoli – fa proprio dell’ascensione l’episodio di congiunzione fra i suoi due libri.

La racconta alla fine del vangelo e all’inizio degli Atti.

In qualche modo è come se intravvedesse in quell’evento la fine dell’oggetto precipuo del vangelo (la vita di Gesù) e l’inizio dell’argomento principale degli Atti (l’avvio dell’azione della Chiesa).

L’aspetto interessante è che – pur con qualche elemento di somiglianza – le due narrazioni differiscono.

Entrambe le versioni collocano l’episodio nei pressi di Gerusalemme; tutte e due, poi, riportano l’invito di Gesù a rimanere in quel luogo fino a che non ci sarebbe stata un’ulteriore svolta («finché non siate rivestiti di potenza dall’alto»; fino all’«adempimento della promessa del Padre […] sarete battezzati in Spirito Santo»). Infine, sia nel vangelo che negli Atti, Luca narra l’ascensione con l’immagine del “salire”: «Si staccò da loro e veniva portato su in cielo»; «Mentre lo guardavano, fu elevato in alto».

Come anticipato, vi sono però anche elementi di discordanza: nel vangelo, Gesù – ascendendo – benedice i suoi discepoli, i quali – dopo questo evento – «tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio».

Negli Atti, invece, si esplicita che «una nube lo sottrasse ai loro occhi» e, mentre «essi stavano fissando il cielo […] due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”».

Queste somiglianze e differenze mi pare possano condurci ad alcune considerazioni.

Innanzitutto il fatto che la festa che celebriamo questa domenica sia originata da un’effettiva cesura. Chi ha vissuto con Gesù ha sentito il suo ritorno al Padre come una soglia che chiudeva una fase e ne apriva un’altra: da quel momento in poi il modo di relazionarsi al Signore non è più lo stesso.

In secondo luogo, mentre il vangelo si concentra sulla “chiusura” di una fase (il benedire di Gesù e la fissità dei discepoli denotano, infatti, una sorta di commiato), gli Atti aprono alla fase nuova (la sottolineatura del fatto che Gesù non sia più visibile e l’invito degli uomini in bianche vesti a non stare a guardare il cielo paiono proprio un invito a incamminarsi per una strada nuova).

Noi siamo figlie e figli di questa nuova fase, senza la presenza in carne e ossa di Gesù, ma raggiunte e raggiunti da un ultimo ingrediente che hanno in comune vangelo e Atti: la testimonianza («Di questo voi siete testimoni»; «di me sarete testimoni»).

Ogni generazione cristiana dopo l’ascensione è stata proprio questo: un anello di congiunzione tra quella precedente e quella successiva; destinatario/a della testimonianza altrui e soggetto di testimonianza per altri/e.

Credo che la festa dell’ascensione – festa di un soglia – possa essere un buon momento per riflettere sulla soglia che ciascuno/a di noi è rispetto alla testimonianza, senza che questa esperienza sia banalizzata in estemporanei propositi di fare proseliti, ma sia meditata attraverso domande fondanti, tipo: la mia relazione col Signore è sufficientemente approfondita da fare di me un/una testimone di Lui? Cosa vorrei trasmettere di Gesù? Qual è la via migliore per farlo oggi?

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