Corpus Domini (commento)

Questa domenica si celebra la solennità del Corpus Domini.

La seconda lettura – tratta dalla lettera di san Paolo ai Corinzi – contiene il racconto dell’istituzione dell’eucarestia che – come è noto – è narrata quattro volte nel Nuovo Testamento: qui e nei sinottici.

Giovanni non ne parla: durante l’ultima cena, descrive, infatti, la lavanda dei piedi; tuttavia dedica il sesto capitolo del suo vangelo al discorso sul pane del cielo.

Il continuo rimando tra pane-vino, corpo-sangue, condivisione del cibo, dono di sé, dare da mangiare se stessi è indubbiamente uno dei fili conduttori della rivelazione di Gesù.

La Chiesa – fin dai suoi inizi – ha colto la centralità di questo pilastro della fede e, lungo i secoli, vi ha dedicato enormi sforzi riflessivi.

Potremmo dire che una delle domande chiave della vita cristiana è precisamente questa: cosa si intende per “corpo di Cristo”?

E – correlata ad essa – come renderlo presente? Cioè, come avervi accesso oggi?

La risposta alla prima questione è meno univoca di come a volte si pensi: il “corpo di Cristo” è il pane consacrato, certo; ma corpo di Cristo è anche la Chiesa, così come il corpo risorto e asceso al cielo del Figlio.

In epoca tardo medievale e poi moderna (soprattutto a seguito della Riforma protestante e delle diverse interpretazioni che i riformatori hanno dato al memoriale dell’ultima cena), la Chiesa cattolica ha insistito molto sulla presenza reale nell’ostia consacrata, elaborando la spiegazione della transustanziazione.

Nella contemporaneità, invece, scemate fortunatamente le animosità controriformistiche, è stato possibile per la teologia affrontare con sguardo più sereno i vari punti di vista che – sia in seno al cattolicesimo, sia nell’ambito delle Chiese riformate – hanno trovato spazio nella storia.

Potremmo dire che ai due poli opposti stanno la posizione del “realismo estremo” (la sostanza del pane si trasforma in quella del corpo di Cristo) e quella del “simbolismo nominalistico” (il pane e il vino ricordano ciò che ha fatto Gesù).

La banda intermedia va pensata un po’ come la scala cromatica, in cui non è facile cogliere i confini di una sfumatura o dell’altra.

Cosa intendo dire?

Che – esclusi gli estremi – il punto diventa intendersi sul significato di “reale” e “simbolico”, due termini che nel corso del XX secolo si sono riavvicinati molto nell’interpretazione teologica: perché il “simbolico” è molto concreto e il “reale” spesso è molto poco materiale.

Cos’è allora questo Corpus Domini cui abbiamo accesso con la comunione?

È il corpo di Cristo reso presente dalla celebrazione del memoriale della sua ultima cena, possibile solo per la presenza di un corpo ecclesiale, che è a sua volta corpo di Cristo, e che ha custodito, tramandato e attualizzato quella memoria…

Una memoria che – secondo l’evangelista Luca e san Paolo – Gesù stesso ha invitato i suoi e le sue a custodire: «Fate questo in memoria di me».

La domanda diventa, allora, e mi sembra quella centrale di questa domenica: perché proprio questo in memoria di Lui?

Forse per quel rimando tra pane-vino, corpo-sangue, condivisione del cibo, dono di sé, dare da mangiare se stessi, pilastro della rivelazione di Gesù, di cui parlavamo prima?

Oggi, forse, è più su questo che la nostra riflessione meriterebbe di indirizzarsi.

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