Il brano di vangelo di questa domenica è tratto dal lungo discorso che l’evangelista Giovanni fa pronunciare a Gesù durante l’ultima cena.
Da questo punto di vista le sue parole paiono anticipatrici di ciò che avverrà dopo la passione, morte e risurrezione: il dono dello Spirito (Pentecoste), il ritorno di Gesù al Padre (Ascensione), l’azione della Chiesa (ricordare tutto ciò che Egli ha detto).
Noi sappiamo però che questo testo – come tutti i vangeli – sono stati scritti a posteriori, a distanza di anni dagli eventi qui narrati.
Non si tratta dunque tanto di “anticipazioni” di Gesù, ma di una rimeditazione di quanto già avvenuto
Quando Giovanni scrive, Gesù è già morto e risorto. Ha già donato il suo Spirito ed è già tornato al Padre. La Chiesa è già all’opera e, anzi, proprio la scrittura dei vangeli è frutto della recezione e trasmissione dell’annuncio.
In questa prospettiva diventano allora centrali, a mio giudizio, due elementi su cui l’evangelista insiste e che raccontano l’esito per l’oggi (dell’evangelista e nostro) dell’itinerario ormai compiuto di Gesù: l’ascolto efficace della parola («Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui») e la pace («Vi lascio la pace, vi do la mia pace»), legate dal dimorare di Dio (Padre, Figlio e Spirito santo) in noi.
“Osservare la parola del Signore” è una locuzione sulla cui importanza tutti/e ci troviamo d’accordo.
Temo, tuttavia, che ad un’analisi più approfondita, il rischio di interpretazioni lontane sia alto.
Nella lingua italiana, il verbo “osservare” ha diverse accezioni.
La Treccani, dopo aver ricordato l’etimologia latina (observare, compost di ob– e servare, serbare, custodire, considerare), ne elenca quattro principali: 1) Guardare, esaminare, considerare con attenzione (per esempio: “osservare un quadro”); 2) Notare, rilevare (per esempio: “osservi nulla di nuovo nel mio abbigliamento?”; 3) Seguire ciò che una legge, una disposizione, una norma prescrive, obbedire, adempiere, rispettare e simili; 4) Riverire, manifestare il proprio rispetto a una persona, fare atto d’ossequio.
Spesso, in ambito religioso, sono proprio le accezioni 3) e 4) quelle maggiormente in uso: per esempio, “osservare i comandamenti” è solitamente inteso come seguire una norma. Tant’è che la parola “osservanza” spesso implica il rispetto di leggi e precetti.
Mi pare che anche con la locuzione in oggetto nel brano di vangelo odierno (“osservare la parola del Signore”) il significato che immediatamente può venire in mente è quello di obbedienza a una prescrizione.
In questo senso la frase di Gesù «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» suona quasi come una minaccia: se non mi ubbidisci, non mi ami, dunque io non ti amerò e non verrò presso di te.
Scusate se calco un po’ la mano, ma è per mettere in luce un certo atteggiamento che spesso mi è capitato di incontrare: il rapporto con la parola di Dio vissuto come un insieme di norme (estratte dal testo e semplificate per essere più facilmente memorizzate) da rispettare per meritare la benevolenza di Dio e evitare sue ritorsioni.
Ma proviamo a guardare alla parola greca contenuta nel vangelo: teréo.
Anch’essa, nel Nuovo Testamento, ha diverse accezioni: fare la guardia (Mt 27,36), tenere da parte (Gv 2,10), custodire (Ap 3,8), osservare / prestare attenzione (Gv 9,16).
Si tratta dunque di una varietà di sfumature che crea un campo semantico ricco.
Questa polisemia chiede di non essere ridotta: “osservare la parola” vuol dire innanzitutto custodirla nella sua interezza (non estrapolarne delle frasi ad hoc), coglierne il senso complessivo, prestare attenzione a non operarne una lettura superficiale e poi, ovviamente, osservarla nel senso di provare a viverla.
Se manca tutto il prima, però, il rischio è che ci troviamo a vivere parole che non sono la Parola.
Ecco perché non accediamo alla pace promessa, figlia del prendere dimora della Parola stessa nel nostro cuore.
Mi piacerebbe che nella Chiesa ci fossero meno osservanti di prescrizioni e più appassionati della Parola, che la studino, la approfondiscano, la preghino e provino a viverla perché vi trovano il senso autentico dell’esistenza e non per paura di Dio (che è l’anti-Parola).