III Domenica di Pasqua (commento)

I racconti delle apparizioni di Gesù risorto possono essere letti almeno in tre modi: o come resoconti storici di ciò che è accaduto, o come narrazioni teologiche scritte per far accedere chi non c’era all’esperienza della fede nel risorto, o con una prospettiva esistenziale che indaga cosa abbia voluto dire per i discepoli credere che Gesù fosse risorto.

Se li si intende come resoconti storici, non serve altro che leggerli nel loro svolgersi e, in questo caso, ripercorrere i fatti così come sono narrati: il viaggio verso Emmaus, l’avvicinarsi di Gesù in persona, il dialogo tra lui e i discepoli, il gesto di Gesù di fare come se dovesse andare oltre, la richiesta dei discepoli di restare, lo spezzare il pane, il riconoscimento, la sparizione, il ritorno a Gerusalemme…

Se li si interpreta come narrazioni teologiche, ciò che va ricercato sono quei passaggi che permettono il riconoscimento del risorto: le Scritture, la premura per lo straniero, lo spezzare il pane… da cui la Chiesa ha fondato i pilastri della sua identità: la Bibbia, la carità, il sacramento dell’eucaristia. I “mezzi” – anche per chi non c’era – per accedere alla relazione col risorto.

Una prospettiva esistenziale, che non esclude le altre, prova invece a guardare all’esperienza vissuta da questi discepoli: è quella che vorrei provare a delineare oggi.

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III Domenica di Pasqua (letture)

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

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