Il vangelo di questa domenica si colloca all’interno del capitolo 10 del vangelo di Giovanni, la cui prima parte riporta un noto discorso di Gesù.
Dopo le immagini del buon pastore («Cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce», v. 4), della porta («Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo»), il confronto con la figura del mercenario («Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde»), le parole di Gesù fanno sorgere un dissenso tra i Giudei, tanto che «molti di loro dicevano: “È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?”»; mentre altri sostenevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
Il riferimento è a quanto narrato al capitolo 9, dove veniva presentata la guarigione del cieco nato.
Nel testo, segue poi un’annotazione temporale-liturgica: «Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone».
È a questo punto che l’evangelista Giovanni riporta un dialogo tra Gesù e i Giudei, all’interno del quale vi sono le parole che compongono il vangelo di questa quarta domenica di Pasqua.
«Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
«Ve l’ho detto, e non credete; le opere che compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Il testo è dunque inserito in uno dei diversi scontri che Gesù ha a Gerusalemme, tanto che – dopo le sue parole – «i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo» con l’accusa di essere un bestemmiatore: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Proviamo quindi a soffermarci sul discorso di Gesù.
Egli afferma che l’incomprensione e l’incredulità dei Giudei è dovuta al fatto che essi non fanno parte delle sue pecore, da cui – per converso – si capisce che solo facendo parte del suo gregge si possono comprendere le parole di Gesù e dar loro credito.
Sorge, dunque, la domanda: Chi fa parte delle sue pecore?
La prima cosa da segnalare è che Gesù non risponde indicando una o più categorie di persone: non dice “sono i Galilei”, oppure “sono i lebbrosi”, ecc…
Egli dà piuttosto un’indicazione che potenzialmente potrebbe includere qualsiasi tipo di persona: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono».
Fa parte del gregge di Gesù chiunque ascolti la sua parola e lo segua.
Non servono altre appartenenze, caratteristiche particolari, doti speciali: tutti/e possono diventare pecore di questo gregge, perché per farvi parte ciò che serve è l’ascolto della parola del Signore e il seguirlo.
A queste persone è promessa la vita eterna: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».
Possiamo quindi concludere che la vita eterna è promessa a tutti/e; a tutti/e coloro che ascoltano la sua parola e lo seguono.
Non tanto in senso remunerativo: siccome mi ascolti e fai come dico, allora ti do in premio la vita eterna; ma in senso esplicativo: ascoltare la mia parola e seguirmi coincide con il costruire un’esistenza che si eternizza, non finisce con la morte.
L’apertura ad una vita che non muore è implicata nel vivere secondo il vangelo.
Questa è la convinzione di Gesù.
Questo è il motivo per cui leggiamo questo testo nel tempo di Pasqua.
Questo è ciò su cui ci è chiesto di riflettere nel nostro percorso di presa di coscienza di cosa significhi credere nella risurrezione.