“Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa” – Commento al vangelo di Domenica 3 luglio 2022 (XIV del tempo ordinario)

«Chi lavora, ha diritto alla sua ricompensa».

No, questa frase non è tratta da un proclama sindacale.

E nemmeno dalle denunce che continuamente appaiono sui social da parte di tante e tanti giovani italiane/i o straniere/e.

Questa frase è scritta nel vangelo!

Non lo sapevate?

Chissà perché???

Ci sono un sacco di altre posizioni della Chiesa (spesso nemmeno trattate da Gesù) che sono arrivate a tutti e a tutte e che continuano a essere riproposte… questa invece non la conosce nessuno (se non gli/le addetti/e ai lavori).

È contenuta nel vangelo che ascolteremo domenica ed è pronunciata nell’ambito delle indicazioni che Gesù dà ai suoi discepoli, inviandoli ad annunciare il Regno: mangiate e bevete quello che hanno, «perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Ma cos’è questo Regno da annunciare?

In cosa consiste questa vicinanza di Dio di cui parlare alle persone (soprattutto se sofferenti)?

Lo spiega bene la prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia:

«Così dice il Signore: “Ecco, io farò scorrere […] come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò […] Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

Questa è la “buona notizia” che i discepoli e le discepole di Gesù sono invitate a portare nel mondo.

La notizia che siamo tenuti in braccio… coccolati… consolati… e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno!

Di fronte a un annuncio di questo genere, che c’è da fare?

Lo spiega bene san Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Galati: «Non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura».

Di fronte all’annuncio che abbiamo un Dio che ci ama, che ci vede come la cosa più preziosa che ha, non si può restare quelli di prima.

L’essere amati/e, trasforma.

I discepoli e le discepole di Gesù sono coloro che dovrebbero annunciare proprio questo amore: è questa la “buona notizia” che devono portare. È questo il vangelo.

Così che chi viene raggiunto da questo annuncio, conosca e percepisca questo amore…

E così possa trasformarsi… essere una “creatura nuova”.

Non più una creatura che si pensa sola contro tutti (tranne quei/quelle pochi/e alleati/e che riesce ad avere durante l’esistenza, che poi chissà se e fino a quando ci saranno…); non più una creatura che, quindi, deve lottare ogni giorno per sopravvivere, emergere, contare qualcosa; non più una creatura che si vede costretta a guardare agli altri / alle altre come rivali, nemici, nemiche; non più una creatura che ha bisogno di essere aggressiva, ostile, egoista…

Ma finalmente una creatura che non ha più bisogno di salvarsi la vita da sé, perché sa che la sua vita è tra le braccia di Qualcun altro/a e quindi può usare le sue energie, non per sopravvivere e combattere, ma per fare qualcosa di bello, con gli altri, le altre, che non sono più rivali, nemiche, nemici, ma compagni, compagne… cioè persone con cui farsi compagnia e condividere progetti di serenità, pace e condivisione.

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