Dalla teologia del Battista a quella di Gesù (commento al vangelo della II Domenica di Avvento)

Questa domenica facciamo il secondo passo di avvicinamento al Natale, al seguito del vangelo di Matteo.

La liturgia ci presenta la figura di Giovanni Battista.

Il testo è tratto dal capitolo 3: lo sottolineo per ricordare che – anche se noi leggiamo questo testo in avvento – l’evento raccontato è posteriore alla nascita di Gesù.

L’evangelista, infatti, nei primi 2 capitoli aveva raccontato la genealogia di Gesù, la sua nascita, la visita dei Magi, la fuga in Egitto e il ritorno a Nazareth.

Il “sopraggiungere” di Giovanni fa dunque riferimento a un momento successivo: è l’annuncio dell’avvento del regno dei cieli, cioè al compimento della profezia sull’arrivo del messia e quindi alla sua azione da adulto.

Ebbene, sulla scena compare il Battista, il quale esordisce con le medesime parole con cui – dopo il battesimo al Giordano e le tentazioni nel deserto – esordirà Gesù stesso: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2 e Mt 4,17), che tradotto letteralmente dal greco suona: “Cambiate mentalità: si è avvicinato infatti il regno dei cieli”.

L’evangelista prosegue poi cercando di chiarire subito il ruolo del Battista e lo fa, citando Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

Dal nostro punto di vista è importante ricordare che Matteo non sta scrivendo in presa diretta, ma circa una cinquantina d’anni dopo i fatti. Questo bisogno di chiarire subito (e di ripetere successivamente) che Giovanni non era il messia, ma il precursore, è probabilmente legato al fatto che i discepoli del Battista non accettavano questa subalternità del loro maestro.

Sta di fatto che Giovanni è presentato da Matteo come una voce. Una voce che grida. Una voce che grida nel deserto. E che dice: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

È questo riferimento al prepararsi alla venuta del Signore che – credo- abbia convinto la Chiesa a considerare questo testo ideale per essere collocato in avvento.

Eppure il brano non finisce qui.

Anzi, prosegue ancora per molti versetti nei quali ci vengono descritti:

  • il vestiario e la dieta del Battista («portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico»);
  • la sua attività e il successo ottenuto («Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati»);
  • le parole rivolte a farisei e sadducei («Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile»).

La prima cosa che salta agli occhi è il contrasto con Gesù.

Quest’ultimo, infatti:

  • si vestiva come era normale per un uomo palestinese del suo tempo (nei vangeli non vi è nessun riferimento a una sua eccentricità nel vestire) e rispetto al cibo è descritto come uno che amava partecipare a pasti conviviali. Addirittura di Lui si diceva che era un mangione e un beone (Mt 11,19);
  • non è chiaro se abbia mai battezzato alcuno (pare di no);
  • ma soprattutto usava parole di tutt’altro genere.

In particolare, in merito a quest’ultimo punto, Gesù non ha mai presentato Dio come qualcuno di cui avere paura, dalla cui ira guardarsi; non ha mai parlato delle persone come di alberi alla cui radice è posta una scure (anzi, in una parabola che parlava di un albero che non dava frutto, ha suggerito di dargli tempo – Lc 13,6-9); e soprattutto, non ha mai proposto il suo vangelo sotto minaccia dell’inferno, anzi, ha invitato a scegliere il bene e non il male, non per timore di punizioni eterne, ma convinto che il bene fosse più bello del male.

Il vangelo di oggi, dunque, ci fa fare un secondo passo di avvicinamento al Natale: ci stiamo preparando a fare memoria della nascita di colui che ci ha rivelato il vero volto di Dio. Stiamo però attenti a non sbagliare Dio! Il cambio di mentalità richiesto, forse, è anche quello che ci deve far passare dalla teologia del Battista a quella di Gesù.

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