Domenica delle Palme (commento) – Perché è morto Gesù?

Nella messa che precede la Pasqua (Domenica delle palme) si legge la passione di Gesù, quest’anno secondo l’evangelista Marco. Non riporto l’intero testo, perché è molto lungo, ma – per chi volesse scorrerlo – si trova nei capp. 14-15.

Ciò su cui vorrei soffermarmi non è una parte di questo testo, ma una domanda radicale ad esso sottesa, e cioè: Perché Gesù è morto?

Questa domanda ha un doppio profilo, in quanto quel “perché” può avere valore causale o finale: può essere inteso come “Quali sono state le cause che hanno portato alla morte di Gesù?” oppure “Con quale scopo è morto Gesù?”.

Rispetto al valore causale della domanda, abbiamo già detto settimana scorsa che Gesù non è stato vittima degli eventi, ma ha scelto di dirigersi a Gerusalemme e restare fedele fino alla fine a se stesso, al suo messaggio, all’identità di Dio che aveva rivelato.

Questa sua consapevolezza è chiara nel momento dell’ultima cena, quando, tentando di dare una spiegazione in anticipo di quello che stava per avvenire, ha interpretato la sua morte come una consegna. Quando infatti, identificando il pane con il suo corpo, dice «Prendete», è evidente che, se dalla parte dei discepoli l’atteggiamento è quello del “ricevere”, la sua postura è invece quella del “dare”, anzi del “darsi”, del “consegnarsi”, appunto.

Questo però non risolve il problema del perché (in senso finale) Gesù sia morto, cioè di quale sia stato lo scopo di questo darsi. La domanda dunque si ripropone: Perché Gesù è morto?

“Per salvarci” direte voi e la riposta è certamente corretta.

Mi permetto però di dire che è una risposta un po’ “preconfezionata”, una rispostina quasi automatica che abbiamo imparato fin da piccoli, ma sulla quale non so fino a che punto abbiamo riflettuto.

Perché a questo punto, potrei chiedervi: Da cosa ci ha salvato?

Dal peccato, dalla morte, certo…

Ma perché ha dovuto morire per salvarci?

Sant’Anselmo d’Aosta ha scritto un libro, il Cur Deus homo (Perché un uomo Dio), in cui dava la sua risposta che – magari senza che ce ne rendiamo conto – è la stessa che è traghettata fino a noi: perché a peccare è stato l’uomo (quindi a espiare serviva un uomo), ma il peccato era così grande che per soddisfare Dio serviva il sacrificio, non di un uomo qualsiasi, ma di un Dio appunto. Ecco perché un uomo-Dio.

Questo ragionamento così logico (forse fin troppo logico, della nostra logica umana, per essere di Dio) non tiene conto di una cosa: il Dio descritto (quello che era così indignato con l’umanità per il suo peccato, che aveva bisogno di essere ripagato e placato con un sacrificio, anzi con un super-sacrificio) ha poco a che fare con il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù.

A mio parere è quindi un ragionamento del tutto da rifiutare: per spiegare il senso della morte di Gesù, questo discorso tradisce Gesù stesso, tutto ciò che è stato, ha detto, ha fatto, il Dio che ha rivelato.

E allora: Perché Gesù è morto?

Perché la salvezza che egli ci ha portato non è una magia, la cancellazione dalla lavagna di Dio dei nostri peccati o l’accesso alla vita eterna (per risorgere, doveva morire, dice qualcuno… già, ma poteva morire tranquillo nel suo letto… e poi vuoi che Dio non avrebbe potuto farci risorgere in altro modo?).

Il fatto è che la salvezza che Gesù ci ha portato è innanzitutto una salvezza per l’aldiqua: egli ci salva letteralmente la vita (nell’aldiqua) facendoci conoscere il vero volto di Dio.

Aver rivelato che Dio non è quel giudice che ci spia dappertutto (fin sotto le coperte) come la Stasi per scovare le nostre magagne e punirci, ma una papà o una mamma che ci vuole bene proprio come un papà e una mamma (che – come si sa – hanno sempre più premura per i figli e le figlie più disgraziati/e), ci salva da quella cappa di paura in cui siamo immersi: paura di Dio, paura di non piacergli mai abbastanza, paura della morte, paura dei peccati… paura della vita. Perché quando sei osservato e sotto giudizio, ogni movimento è circospetto, mai libero.

E quando il piacere a Dio, l’andargli bene è “passare una selezione” anche lo sguardo sugli altri diventa brutto. Gli altri sono rivali: se pochi si salvano, devo vincere la corsa, a scapito degli altri (mors tua vita mea).

Perfino lo sguardo su noi stessi in questa “cappa” è terribile: continuerò a guardarmi per trovare quello che non va, per rimproverarmi quando sbaglio, per auto-accusarmi di non essere all’altezza.

Ma questo è un inferno: paura di Dio, diffidenza nei confronti degli altri, disistima di sé.

Gesù ci ha salvato da tutto questo, rivelandoci che è possibile vivere nell’aldiqua (e dunque anche nell’aldilà: perché nell’aldilà saremo quello che siamo stati nell’aldiqua) da liberati: liberi dal giudizio di Dio, perché Dio è un papà/mamma, solidali con gli altri (se la vita non è più una lotta per la sopravvivenza, un test per passare la selezione, possiamo investire le energie per stare bene… e costruire un mondo che – se tu sei felice – è più bello anche per me, perché il tasso di felicità del mondo si alza), rappacificati con noi stessi (perché impareremo a guardarci con lo stesso sguardo amorevole con cui ci guarda Dio).

Ecco perché Gesù è morto: perché se si fosse sottratto alla fedeltà fino alla fine alla sua rivelazione, tutto il suo annuncio salvifico e liberante sarebbe stato smentito: come può essere credibile infatti uno che di fronte alle conseguenze di ciò in cui crede, scappa?

Che sia proprio questo il senso della morte di Gesù (e cioè la rottura definitiva col Dio pauroso cui fare sacrifici) è evidente da due riferimenti:

– Mc 15,29-30: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!»;

– Mc 15,37-38: «Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo».

I due riferimenti al tempio sono il chiaro segno che Gesù ha distrutto l’immagine di Dio che ogni religione (e il suo apparato, che campa sulla paura delle persone) propugna. Gesù infatti aveva detto che avrebbe distrutto il tempio e lo avrebbe ricostruito in tre giorni, quando era andato a ribaltare i banchi dei cambiamonete, simboleggiando la distruzione di quel modello religioso.

E il velo del tempio che si squarcia era quello che separava Dio dall’uomo, il cielo dalla terra. Quel filtro (la religione) è squarciato.

Da allora in avanti – chi vuol dar retta a Gesù – sa che c’è un altro modo di stare al mondo.

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