IV Domenica di Pasqua (commento)

Nel vangelo di questa domenica Gesù mette in contrapposizione due figure di leadership: la sua e quella di chi si pone nei confronti delle persone, della gente, delle masse come “ladro e brigante”.

Spesso, nella contingenza della vita, è difficile riconoscere chi si propone come guida per il bene comune e chi lo fa per altri interessi: tutti coloro che aspirano ad essere “capi” cercano il consenso e per ottenerlo dicono di agire per il bene comune, promettendo “vita in abbondanza”.

Il riconoscimento di un “buon pastore” è reso ancora più difficile dalla propaganda di chi gli si oppone: chi critica un leader o un aspirante tale, lo fa perché vede minacciato il bene comune (e dunque si oppone a lui per il bene della gente) o lo fa per screditarlo e prenderne il posto?

La storia – alla lunga – rivela la verità dei cuori, basti pensare a Hitler, in un senso, e a Gandhi, in quello opposto, ma nel quotidiano svolgersi degli eventi non ci si vede così bene.

Anche con Gesù è stato così, quando si è proposto come “buon pastore” e ha avuto il fuoco di fila degli oppositori. Per i suoi contemporanei non deve essere stato facile giudicare.

Noi oggi possiamo guardare “a distanza”, con il conforto della storia che – anche per chi non lo ha riconosciuto come Signore e Cristo – l’ha indubbiamente collocato nel novero dei “buoni pastori”.

Il problema per noi è non farne l’ennesima statuetta da mettere nel museo dei grandi della storia, ma piuttosto rintracciare le ragioni del suo essere stato “buon pastore” per chi, tra i suoi contemporanei, l’ha riconosciuto tale e per il giudizio della storia.

In che senso dunque Gesù è stato un buon pastore e può esserlo anche oggi per me?

Le caratteristiche che lui stesso, nel vangelo di oggi, attribuisce al pastore sono le seguenti:

  • «entra nel recinto delle pecore dalla porta»;
  • «le pecore ascoltano la sua voce»
  • «chiama le pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori»
  • «cammina davanti a esse»
  • viene «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Anche se forse è un po’ riduttivo, mi pare di poter riassumere il tutto con un’espressione semplice: il pastore è pastore, e non ladro o brigante, perché vuole bene alle sue pecore ed è fedele a questo bene, anche quando le cose si mettono male.

Io credo che Gesù abbia guadagnato consenso, al suo tempo, nonostante l’autorevole opposizione, e abbia ricevuto il plauso della storia perché la gente da lui si è sentita voluta bene veramente, fino in fondo.

E forse proprio questo è il senso di sceglierlo come pastore anche oggi: tra i tanti che chiedono il nostro consenso, tra i tanti che ci chiedono di seguirli e dar loro retta, forse è il caso di mettersi dietro a chi ci vuole bene e ci invita a volercene tra di noi.

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2 commenti

    1. E’ vero che fa riflettere. Ma il brano evangelico ci invita sempre ad andare oltre. Non abbiamo guide, ma alla mancanza di guide politiche mi sento di aggiungere con forza che, in questo periodo, è vuoto, vacante anche il posto della guida spirituale. E non può essere solo la mancanza liturgica, delle messe o quanto altro. E’ la vicinanza di una persona con cui confrontarsi su questi temi che poi sono la capacità di affrontare la realtà. Qualunque essa sia.
      Grazie Chiara. Si ha più tempo anche per leggere e approfondire.

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