L’altro è sempre qualcosa d’altro… (commento al vangelo della I Domenica di avvento)

Questa settimana inizia il nuovo anno liturgico.

E – come di consueto – si riparte dall’avvento, cioè dal tempo di attesa del Natale.

La liturgia ci fa ricominciare dagli inizi, quest’anno seguendo il vangelo di Matteo.

Solo che – curiosamente – si parte dalla fine del libro… cioè da quelle parole che Gesù ha pronunciato, quando ormai, consapevole che il suo tempo si era fatto breve, ha annunciato ai discepoli il suo ritorno, la sua seconda venuta.

Quelle parole vengono utilizzate oggi dalla Chiesa per farci riflettere sul primo avvento del Figlio, sul suo prendere carne nell’uomo Gesù.

Tutte le letture, in effetti, propongono la medesima atmosfera (quella dell’attesa dei tempi messianici) e hanno lo scopo di farci fare il primo passo per prepararci al Natale.

In particolare, il vangelo, facendo un paragone con il mito di Noè, mette in luce l’inconsapevolezza del mondo, che non si accorse di nulla «finché il diluvio venne».

L’evangelista, che – è bene ricordarlo – scrive quando la parabola terrena di Gesù è già finita da una trentina di anni, presenta l’avvento di Gesù come qualcosa di inatteso, almeno per i più.

Per farlo, utilizza un linguaggio escatologico – che a tratti può sembrare inquietante e spaventevole.

Questo modo di parlare è un escamotage letterario che ha lo scopo di farci attenti perché non perdiamo la tensione verso il Signore.

In effetti, Egli, in qualche modo, è sempre l’inatteso.

Sia nel senso che arriva quando non ce lo aspettiamo, sia nel senso che è sempre sorprendente.

Non è mai del tutto passato, conosciuto, capito.

Non è scontato.

Esattamente come nelle nostre relazioni umane più profonde e intime.

L’altro è sempre anche qualcosa d’altro.

L’invito, per questo nuovo avvento, per questo nuovo anno, è dunque quello di immergerci in questa attesa, in questa tensione per quell’Altro, quel qualcosa d’altro che ancora non abbiamo sperimentato nella relazione con Lui.

Credo che stia qui il senso di ricominciare, ogni anno, il medesimo percorso al seguito dei vangeli, ripercorrendo le tappe del calendario liturgico.

Rivivere un nuovo avvento, un nuovo Natale, non è, quindi, rivivere per l’ennesima volta i medesimi gesti, ascoltare le medesime parole, ripensare i medesimi pensieri.

È l’ora di aprirsi al nuovo, al non ancora visto, sentito, pensato…

Il mio augurio è pertanto quello di tuffarci intensamente in questo nuovo percorso che la Chiesa ci offre, provando a non farci scivolare le cose addosso, ma a penetrarle e a farcene rinnovare.

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