XIII Domenica del tempo ordinario (commento) – Quando gli inconsci si parlano

A volte capita – sarà capitato a tutti – di intercettare lo sguardo di qualcuno, di provare un’immediata sintonia con una persona mai vista prima, di sentire un flusso emotivo con uno/una fra tanti.

In mezzo alla folla, a un gruppo, alla concitazione del momento, è come se il tempo di fermasse per un attimo e tra noi e un altro / un’altra si creasse un’intesa, un riconoscimento, un’empatia istintiva.

Intorno nessuno se ne accorge, nessuno lo percepisce, eppure sono momenti così intensi che dentro di noi paiono palpabili.

Capita anche – se abbiamo l’improvvida idea di dirlo a qualcuno – di venire derisi, come se fosse tutto un film che ci siamo fatti. E anche dentro di noi, c’è sempre un personaggio della nostra repubblica interiore pronto a screditare quegli attimi, che però sono veri, sono reali, sono efficaci.

È difficile spiegare cosa accada e come avvengano questi incontri, taciti e insieme però così espressivi, ma “qualcosa passa” per davvero.

Credo sia quello che è successo a Gesù con la donna che aveva perdite di sangue da dodici anni, l’emorroissa come abbiamo imparato a chiamarla da bambini.

Anche lui sente qualcosa, qualcosa passa, una forza si sprigiona.

Anche lui viene deriso: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”».

Ma Gesù sa che qualcosa è successo. E lo sa perché, proprio come noi, anche lui – umano al 100% – non è solo razionalità.

Tant’è che vuole guardare in faccia la persona con cui ha sperimentato questa intensità: «guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo».

La donna, inizialmente, è «impaurita e tremante»: in parte, forse, perché ciò che ha fatto andava contro le norme di purità della legislazione ebraica (una donna con perdite di sangue era considerata impura e quindi toccare un altro implicava renderlo impuro a sua volta, tanto che era proibito); ella teme perciò forse che il voltarsi di Gesù e il cercarla con lo sguardo abbia come fine il rimproverarla e umiliarla pubblicamente. In parte però, come dice esplicitamente il testo, il suo sconcerto è dovuto anche al fatto che sapeva «ciò che le era accaduto».

Anche lei, dunque, si è resa conto della potenza di questo incontro non verbale, del flusso che ne è scaturito, del toccarsi, per un attimo, delle anime (o degli inconsci). Tanto che «gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”».

La straordinaria intensità di questo incontro avviene – come spesso in questi casi – nel bel mezzo del caos, quando Gesù è circondato da tante persone, prese dalla frenesia di accompagnarlo il più in fretta possibile altrove: in questo caso, a casa di Giairo, la cui figlia sta morendo.

Anzi, è morta, vengono a dirgli.

Anche con lei Gesù sente diversamente: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».

E anche in questo caso viene deriso: «E lo deridevano».

Gli eventi danno però ragione al suo sentire: «Cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava».

Credo che anche noi dovremmo imparare a fidarci maggiormente del nostro sentire e scacciare tutti quelli che – dentro e fuori di noi – vogliono sminuire la nostra capacità di raggiungere le altre persone in maniera empatica, emotiva, di pelle.

Perché forse è proprio per quella via – che riesce in certi momenti e per brevissimi attimi a saltare tutti i filtri razionali che pur giustamente intervengono in seconda battuta – che possiamo anche noi intercettare l’anima altrui e reciprocamente sentirne il calore risanante.

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