XXIII domenica del tempo ordinario

Il brano di vangelo di questa settimana ci presenta una delle tante guarigioni che Gesù ha operato.

Si tratta però di una guarigione particolare, dove al centro non è il fatto stesso della purificazione dalla lebbra, ma l’intreccio delle reazioni che questo evento suscita.

Tutto ha inizio con l’ingresso di Gesù in un villaggio.

È qui che incontra dieci lebbrosi, i quali – in ottemperanza alle regole prescritte per le persone nella loro situazione – si fermano a distanza.

Invece che gridare «Impuro! Impuro!» – come imponeva la legge – urlano però «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!», contravvenendo ai precetti del libro del Levitico, che stabiliva: «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”» (Lv 13,45).

Non appena Gesù li vede (e dunque vede che si tratta di lebbrosi) si comporta anche lui “da manuale”, inviandoli cioè dai sacerdoti. Erano loro infatti quelli deputati a verificare lo stato della malattia e a stabilire se i lebbrosi potessero rientrare a far parte della comunità o se dovessero continuare a starne fuori, cioè ad essere s-comunicati, per evitare di contagiare gli altri. Gesù pertanto non li guarisce, ma semplicemente li manda “a chi di dovere”, cioè da coloro che dovevano constatare il loro stato.

In questo modo segue le prescrizioni della legge, ma forse suscita una certa delusione nei lebbrosi: nella loro richiesta di avere pietà, non credo ci fosse infatti solo il desiderio di essere trattati umanamente, ma la richiesta di essere liberati dal loro male e così essere riammessi nel consesso della comunità, nei confini della città (i lebbrosi infatti dovevano vivere fuori dai centri abitati, ai margini).

Nonostante questo, però, fanno un atto di fede nei confronti di Gesù: cioè si fidano della sua parola, della sua indicazione di andare e, pur sapendo di non essere guariti, si incamminano verso i sacerdoti che a quelle condizioni non li avrebbero certo riammessi in società.

Si fidano dunque e partono. E proprio lungo la strada il miracolo avviene: furono infatti purificati mentre andavano.

Ma è qui che succede qualcosa di inaspettato: il gruppo si divide.

Fino a questo punto erano stati una massa indistinta di dieci lebbrosi, ora invece nove proseguono nella direzione indicata da Gesù e uno no.

Uno torna indietro «lodando Dio a gran voce» e si prostra «davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo». Con la precisazione: «Era un Samaritano».

Gesù loda il comportamento di quest’uomo («Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?»), ma, a ben guardare, è l’unico che non ha fatto quanto lui aveva prescritto: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».

Tutto il brano è in qualche modo un gioco tra obbedienza-disobbedienza alle regole:

– i lebbrosi non si avvicinano a Gesù (obbedendo alla legge), ma invece che gridare «Impuro! Impuro!», gridano «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!»;

– Gesù li manda dai sacerdoti (seguendo la normativa), ma poi li guarisce;

– Il lebbroso samaritano si avvia per andare dai sacerdoti (adempiendo al comando di Gesù), ma poi torna indietro.

Tutti i protagonisti, all’interno del codice comportamentale imposto dalla tradizione, hanno un guizzo di creatività, attuano un distacco, hanno il coraggio di un dis-senso e causano vitalità, movimento, rinnovamento. È una reazione a catena di vita e non di morte: i lebbrosi disobbediscono alla legge e chiedono pietà a Gesù; lui li manda dai sacerdoti, ma, mentre vanno, li guarisce; il lebbroso samaritano non segue fino in fondo l’indicazione di Gesù e torna a ringraziare, cioè a gioire con Gesù.

Si tratta di un circolo possibile grazie alla fiducia: alla fiducia in Gesù, certo, ma anche alla fiducia nella vita. I lebbrosi si fidano che la loro infrazione non infastidisca e non mal disponga Gesù. Gesù ha fiducia nelle sue possibilità di guarire a distanza e nella comprensione a distanza del suo sanare. Il lebbroso ha fiducia che Gesù non si arrabbierà nel vederlo tornare senza aver adempiuto al suo comando.

Solo lui però ha questo coraggio. E solo lui gode pienamente dell’evento: risanato e salvato!

Cosa vuol dire? In che senso lui, oltre che risanato, è pure salvato? Salvato da cosa?

Innanzitutto dalla soggiogazione alle prescrizioni: è il suo coraggio di fare diverso, di metterci fantasia e creatività, a fargli trovare piena vitalità.

In secondo luogo, salvato dall’individualismo: gli altri non tornano perché, quando si vedono risanati, pensano prima di tutto ad andare dai sacerdoti ed essere così riammessi nella comunità. Pensano a tornare “pienamente vivi” il più in fretta possibile. Non gli viene in mente di tornare da Gesù (e se gli viene in mente, si dicono, “C’è l’ha detto lui di andare dai sacerdoti”).

Ma è proprio qui il loro errore: per essere il più in fretta possibile “pienamente vivi”, si scordano di cosa voglia dire essere “pienamente vivi”, cioè pienamente umani. Si scordano la riconoscenza, la condivisione della gioia, la relazione con colui che li ha salvati dalla situazione disperata in cui erano. Ecco perché, pur essendo risanati, non sono salvi: perché pur non avendo più la lebbra, sono ancora “morti che camminano”, cioè uomini non pienamente vivi o non pienamente umani. Gli manca ciò che fa dell’uomo un uomo e non una bestia: la libertà di fare diverso da quanto l’istinto di sopravvivenza spinge a fare…

Letture:

Dal secondo libro dei Re (2Re 5,14-17)

In quei giorni, Naamàn [il comandante dell’esercito del re di Aram] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra]. Tornò con tutto il seguito da [Elisèo], l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (2Tm 2,8-13)

Figlio mio, ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

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