XXIII Domenica del tempo ordinario (commento)

Il vangelo di questa domenica è uno di quelli ad “alto rischio fraintendimento”, quindi per prima cosa cerchiamo di delinearne bene la tematica.

L’evangelista Matteo riporta le parole di Gesù collocandole all’interno del cosiddetto “discorso ecclesiale”, cioè quell’insieme di parole dette alla / per la comunità. Quindi qui si sta parlando dei rapporti che i credenti in Gesù (e nel suo vangelo) hanno tra di loro, non con altri.

La cosa – che fino a questo punto non stupisce – diventa curiosa non appena si legge che – proprio dentro alla comunità – può succedere che «tuo fratello commetterà una colpa contro di te».

C’è dunque – da subito – la consapevolezza che anche i cristiani non sono immuni dalle dinamiche del “farsi del male” fra loro (ricordo che allora le comunità era piccole, perseguitate e molto unite: era come una nuova famiglia. Quindi non bisogna intendere “comunità” e “fratello” nel senso blando che hanno oggi).

Il problema in ogni caso non è generico: l’argomento del vangelo di oggi è il male che un tuo fratello – inteso in senso forte – fa a te. L’ambito è questo ed è circoscritto.

Lo sottolineo per evitare che dalle parole di Gesù si traggano indebite conclusioni: qualche cristiano, infatti, sull’onda di una cattiva interpretazione di questo vangelo si è fatto giudice di chiunque facesse qualcosa che lui ritenesse male, saltando peraltro tutti i passaggi che Gesù propone («va’ e ammoniscilo fra te e lui solo», «se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone», «se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità») e arrivando subito all’espulsione tramite pubblico ludibrio.

No, qui si sta parlando del male che qualcuno che ha la mia stessa fede fa a me.

Gli attori in campo sono dunque – almeno inizialmente – tre: io, mio fratello, la colpa che ha commesso contro di me.

Credo che sia una situazione in cui ci siamo trovati tutti, peraltro probabilmente sia nella veste di “io” che in quella del “fratello che commette la colpa”. In ogni caso, qui il punto di vista è quello di “io” come vittima della colpa altrui.

Quando siamo vittime di un torto (soprattutto quando si tratta di qualcosa di grave) le emozioni e i sentimenti che istintivamente nascono in noi sono – comprensibilmente – difensivi, riparativi, vendicativi, o addirittura omicidi, tanto più se la persona che ci ha fatto del male è “uno dei nostri”, un fratello, qualcuno che – in teoria – condivideva la nostra stessa impostazione di vita, la fede nello stesso vangelo.

Il dolore per il tradimento, la delusione, la sfiducia, il disprezzo, l’annichilimento portano a far coincidere l’altro con la sua colpa. L’altro non è più “mio fratello”, ma “colui/colei che mi ha fatto questo”. Da qui la voglia di arrivare presto a “buttarlo fuori” dalla mia vita, dalla comunità: «sia per te come il pagano e il pubblicano».

Gesù invece ci chiede di rallentare questo esito, l’unico che vediamo quando siamo feriti e di porre dei passi («va’ e ammoniscilo fra te e lui solo», «se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone», «se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità») che – prima che ad ogni altra cosa – servono per ricordare che l’altro non è solo la sua colpa, ma è comunque mio fratello.

Ciò che Gesù ci invita a fare è non tradire, anche noi, la relazione di fraternità che l’altro ha rotto, non tradire anche noi la fiducia nel vangelo che fa dell’altro uno di cui io sono responsabile (da questo punto di vista il vangelo è davvero la risposta affermativa alla domanda retorica di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?», Gen 4,9), che è il senso anche della prima lettura.

Quando siamo vittime ci sentiamo di avere tutti i diritti, sentiamo di avere il diritto di fare a nostra volta del male all’altro, ma Gesù fa un’altra proposta: quella di non rilanciare il male, quella di provare ad essere quella persona che in quella circostanza non rilancia il male.

Se l’altro non ti ascolta, non ascolta neanche le tre persone più vicine e nemmeno la cerchia comunitaria, allora «sia per te come il pagano e il pubblicano»… Sia cioè come uno degli altri, quelli non inclusi in questo discorso.

Perché cosa bisogna fare con gli altri? Con quelli che non credono nel nostro stesso vangelo? Disprezzarli? Vendicarsi?

Pensiamo a cosa ha fatto Gesù per gli altri… «Padre perdona loro…» (Lc 23,34).

Imparare a non rilanciare il male tra fratelli non è dunque per escludere gli altri da questo nuovo modo di intendere le relazioni, ma è solo la matrice per imparare a viverlo con tutti.

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