XXXII Domenica del tempo ordinario – commento – “La parabola delle 10 ragazze”

Il testo del vangelo di questa domenica è molto famoso, soprattutto perché è stato spesso usato dai pastori delle anime per ammonire circa la necessità di farsi trovare “pronti” in punto di morte, cosa che, nelle varie epoche storiche, ha implicato sottolineature diverse: farsi battezzare / confessarsi prima di morire, ricevere l’estrema unzione, prepararsi interiormente al “passaggio”…

La parabola narrata da Gesù sarebbe perciò un invito a non comportarsi come le 5 ragazze stolte, ma come le 5 sagge e farsi trovare “pronti” – con tutto ciò che serve – per incontrare lo sposo (al momento della nostra morte o quand’Egli ritornerà alla fine della storia).

In effetti, la storia che Gesù si inventa è pensata proprio per mettere in luce il contrasto tra i due gruppi di ragazze e invitare gli interlocutori a prendere da esempio le sagge.

Il punto però è che, a mio giudizio, storicamente, invece che mostrare, insegnare, attuare il modello delle ragazze sagge, proponendolo come stile di vita confacente al vangelo e capace di realizzare vite piene, belle, dall’esito felice, si è preferito scoraggiare il modello delle ragazze stolte, terrorizzando con la minaccia della loro “brutta fine”.

Fuor di metafora: invece che annunciare la bellezza di una vita che si modella sul vangelo, ci si è accontentati di dissuadere le masse (con il deterrente della minaccia dell’inferno) dall’agire diversamente da quanto la chiesa comandava.

Invece che proporre il bene, si è preferito insistere sulla rinuncia al male, tra l’altro non per convinzione, ma per paura.

Dal mio punto di vista invece il testo di oggi (come altri che vanno nella stessa direzione) dovrebbero essere letti al contrario di come di solito vengono interpretati, e cioè: non bisogna farsi prendere dall’ansia di essere “pronti”, per paura che altrimenti ci capiterà quello che è successo alle vergini stolte. E perciò: non bisogna fare tutte le cose che ci sembra giusto fare per essere “pronti” mossi dall’angoscia. Ma bisogna pensare che il rimanere fuori delle cinque stolte è narrato per sottolineare l’importanza di essere saggi. Come quando una mamma dice: “Se non studi, ti strozzo”, dove il “ti strozzo” è detto per sottolineare l’importanza dello studio. Il figlio capirà davvero quello che gli sta dicendo sua madre, se studierà perché ha capito che è importante, se ci metterà impegno e passione… non se lo farà solo per la minaccia di essere strozzato o di non poter usare il cellulare e i videogiochi… Noi siamo invitati a vivere come le 5 ragazze sagge, non perché altrimenti finiremo all’inferno, ma perché quel modo ci permetterà di avere una vita “spessa”.

Nel testo di oggi l’attenzione va dunque posta non sulle 5 ragazze stolte, ma sulle 5 sagge: sull’esito della saggezza delle seconde e non sull’esito della stoltezza delle prime; le prime sono messe lì solo perché – attraverso il contrasto – emerga il modo di essere delle seconde, che è quello che Gesù invita ad incarnare.

E qual è questo modo di essere delle seconde?

Sono chiamate “sagge”, letteralmente “prudenti”, ma forse col nostro gergo, potremmo connotarle meglio come “previdenti”, consapevoli che la vita reale è molto più complicata e imprevedibile della vita ideale, per cui serve “prepararsi” (essere “pronti”) per farvi fronte.

La questione allora è proprio questa: Gesù invita a guardare alla vita come a qualcosa di serio, di spesso, non come a qualcosa di superficiale e improvvisato. Il modo di intendere l’esistenza che ha Gesù è un modo profondo: la vita non è un gioco, ma la possibilità che abbiamo di costruire (e costruirci come) qualcosa di bello. E questa è un’impresa che non si può lasciare al caso, all’immediatezza, al “come viene, viene”. La vita va presa sul serio, pensata, ripensata, progettata, radicata in scelte di fondo, preparata con la lungimiranza di “fare scorta” di risorse da usare di fronte allo sparigliamento che l’esistenza inevitabilmente subirà, perché il reale non è l’ideale.

Il punto quindi non è “vegliare” nel senso di stare desti, sempre all’erta, vittime della paura di quello che potrà accadere nell’aldiqua o nell’aldilà (guarda caso tutte e 10 le ragazze si addormentano: «Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono»), ma “vigilare”, “sorvegliare”, “sor-volare” la nostra vita, cioè guardarla con profondità, lungimiranza, serietà.

Proprio come ha fatto Gesù, che di lì a pochi giorni potrà affrontare la morte nel modo in cui l’ha affrontata, perché per tutta la vita si era preparato.

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