XXXII Domenica del tempo ordinario (commento)

Il vangelo di questa domenica racconta la parabola delle dieci vergini.

È una storia che – di primo acchito – risulta un po’ fastidiosa, almeno per me.

Viene, infatti, da chiedersi: ma com’è possibile che, nel vangelo, che parla sempre di aiutare chi è più in difficoltà, si proponga un racconto in cui le cinque vergini che rimangono senza olio non vengono aiutate dalle altre cinque?

A ben pensarci, però, questo accade perché nella vicenda, noi ci identifichiamo immediatamente con le donne in difetto.

Ci mettiamo nei loro panni e “essere chiusi/e fuori” ci spaventa.

Credo che questo sia proprio l’intento della parabola.

Provo a spiegarmi.

Lo scopo di chi narra/scrive la storia è quello di sollecitare chi la ascolta/legge a essere pronto/a all’incontro con lo sposo, con Cristo (fuor di metafora).

Il narratore / lo scrivente vuole, cioè, portarci a chiederci se lo siamo oppure no.

Non tanto per dirci che saremo esclusi/e da quell’incontro, ma per sollecitarci a prepararci.

La nostra reazione non deve, pertanto, essere quella vittimistica di chi – non essendo pronto/a – se la prende con le altre (gli altri), ma dovrebbe essere quella di chi si interroga su se stesso/a.

La domanda diventa allora cosa voglia dire essere “pronti/e”; cosa sia – fuor di metafora – l’olio di cui essere provviste/i.

Per molti secoli si è risposto a queste domande, dicendo che “essere pronti/e” volesse dire farsi trovare in santità di vita, un’espressione che poi si traduceva nella irreprensibilità morale, nel non farsi trovare in peccato mortale o cose simili.

Oggi, tuttavia, queste categorie risultano piuttosto usurate, forse addirittura incomprensibili e, almeno per certi aspetti, non riempibili dei medesimi contenuti con cui le si concretizzava un tempo.

Abbiamo, infatti, compreso che, se è vero che non può esserci una fede solo a parole cui non segue una prassi evangelica, è altrettanto vero che è molto riduttivo (e ipocrita) tradurre la prassi evangelica in precetti da ottemperare senza che vi sia una vera conversione del cuore alla visione della vita di Gesù.

Orizzonte di senso e comportamento stanno in una circolarità continua per cui è vero sia che chi sceglie di essere buono (evangelicamente parlando) fa cose buone, sia che chi fa cose buone (evangelicamente parlando) è buono.

Prepararsi all’incontro col Signore (non solo dopo morti, ma ogni giorno della nostra vita) vuol dire allora – con il cuore e con il comportamento – aderire alla sua proposta di amore.

Vuol dire accogliere il suo amore preveniente, lasciarsene trasformare e poi irradiarlo su noi stessi, sugli altri e sulle altre, sul mondo.

Questo è l’olio che ci è chiesto di avere con noi.

Si capisce così anche perché non è qualcosa che ti può dare un’altra / un altro… Nessuno può sostituirsi a noi nel decidere chi essere e nell’esserlo concretamente.

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