I Domenica di quaresima (commento) – Figure del male, di Pietro Maranesi

Siamo entrati nel tempo di quaresima e, come ogni anno, il percorso di preparazione alla Pasqua è inaugurato dal racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto.

Avendo commentato molte volte questo brano e i suoi paralleli, ho deciso di proporvi le considerazioni di un altro teologo, Pietro Maranesi, che ha scritto un libro che consiglio caldamente: Figure del male. Questioni aperte sul “diabolo”.

Nella sua opera, alle pagine 177-188, c’è un’analisi proprio del brano di vangelo che la liturgia ci offre per questa prima domenica di quaresima.

Maranesi esordisce dicendo che spesso l’episodio delle tentazioni nel deserto è stato visto come simbolo dell’azione di Gesù che vince il male, ma anche come “prova” della reale esistenza/presenza del diavolo.

Il suo intento è di andare a verificare se questa lettura sia legittima o meno.

Dopo aver ricordato che non è possibile leggere il brano delle tentazioni staccandolo da quello precedente sul battesimo di Gesù al Giordano, Maranesi pone in luce un parallelismo:

  • Il momento del battesimo è un “pieno”: c’è il fiume, la folla entusiasta, le parole del Battista, la rottura degli indugi da parte di Gesù che decide di farsi battezzare, la voce dal cielo che conferma il rapporto di paternità-figliolanza tra Dio e Gesù stesso;
  • Il momento delle tentazioni è un “vuoto”: cambia l’ambientazione (dal fiume al deserto); lo scenario (non c’è più la folla, anzi non c’è più nessuno, Gesù è solo), l’interlocutore (dalla voce di Giovanni a quella del diavolo, che propongono letture diverse su Dio e sul mondo).

Le due situazioni sono esistenzialmente all’opposto, ma la seconda serve a inverare le scelte fatte nella prima: «All’inizio del suo itinerario umano Gesù, dopo aver ascoltato la voce profetica di Giovanni, doveva ascoltare anche questa seconda voce se voleva non solo aderire in verità e libertà al Dio incontrato nel battesimo, ma anche poi, durante la sua esistenza umana, riconoscere quell’antivoce per poter riaffermare la logica del dono e non del potere».

L’antivoce “diabolica” è diversa dalla voce di Giovanni, ma non solo nei contenuti.

Mentre la voce del Battista è la voce di una persona, «quella del demonio è la voce di una “non-persona”, di una solitudine desertica che lo consegna […] all’incertezza sulla validità delle decisioni già assunte, ponendo in dubbio in Gesù la verità che egli aveva proclamato e accolto come sua vocazione nel battesimo».

Le tentazioni infatti sono la radicale messa in discussione dell’identità di Dio («Davvero Dio è Padre e tu sei suo figlio?») e, di conseguenza, la radicale messa in discussione di se stessi.

Quest’ultimo aspetto si gioca sulla domanda “Chi sei?” e “Chi vuoi essere?”, con la proposta di seguire la logica del potere (e diventare uguale a Dio).

«Le due direzioni sono indubbiamente complementari: dubitare del legame di paternità e figliolanza con Dio significava per Gesù cadere immancabilmente nella logica dell’autonomia per rispondere allo smarrimento e allo scandalo della debolezza e della solitudine appoggiandosi su dinamiche […] di potere […] In fondo la tentazione, quale voce suadente e indefinita, che sorge dal di dentro di un uomo solo, affamato e disorientato nel deserto, offriva a Gesù un modo nuovo e seducente di vedere la realtà: con gli occhi di uno che, per la fame e la debolezza, non vede più chiara e sicura la paternità di Dio e inizia a sentire più “logica ed efficace” la via dell’autonomia».

Le risposte di Gesù a questa situazione esistenziale e a questa voce interiore sono il punto di arrivo dell’autocoscienza che Gesù ha raggiunto (il punto di arrivo del percorso che ha fatto per rispondere alla domanda “Chi è Dio?”, “Chi sono io?”).

Sono risposte basate su citazioni della Bibbia («È stato detto…»), rispetto alle quali Maranesi (dal mio punto di vista in maniera geniale) conclude: «Alla forza seducente e sconvolgente di quanto sente e poi gli sembra di vedere, egli contrappone la debolezza di parole a cui dare fiducia».

A ben pensarci, tutta la nostra vita (non solo quella di fede) si basa sulla fiducia data alla debolezza delle parole (nostre e altrui).

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