III Domenica di Pasqua (commento)

Il brano di vangelo di questa domenica è la versione di Luca del racconto di Giovanni letto la scorsa settimana.

Si possono, infatti, riconoscere elementi comuni tra i due testi: il saluto riconciliante di Gesù «Pace a voi!»; la richiesta di guardare le sue mani e i suoi piedi; l’invi(t)o finale a predicare «il perdono dei peccati».

Vi sono, tuttavia, anche delle peculiarità.

In particolare, l’evangelista Luca, oltre a mettere in evidenza la gioia dei presenti – come aveva fatto Giovanni –, sottolinea anche altre concomitanti reazioni: si dice che i presenti erano «sconvolti e pieni di paura» e «per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore».

Sentimenti contrastanti abitano, dunque, i discepoli dopo la risurrezione: gioia, certo. Ma una gioia per la quale «non credevano» e poi paura, tanta paura (erano «sconvolti e pieni di paura») e turbamento. Tanto che Gesù stesso se ne accorge: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?».

La fede nella risurrezione non è, dunque, stata immediata e nemmeno scontata.

Questo elemento non va considerato come la reazione degli uomini (limitati, goffi, sempre un po’ inadeguati davanti al divino) alla rivelazione di Dio (chiara, limpida, inequivocabile).

Il racconto della fatica di riconoscere, incontrare, relazionarsi col risorto fa ancora parte della rivelazione di Dio.

Fa ancora parte dei vangeli la narrazione del faticoso cammino dell’uomo per accedere alla comprensione, all’incontro e alla relazione col risorto.

Come a dire: non è successo quella volta e basta. Non è che i discepoli hanno fatto la fatica di credere alla risurrezione una volta per tutte, una volta per tutti. Non è che è solo loro l’esperienza dell’essere sconvolti, di avere paura, di provare gioia, di non credere, di essere atterriti e dubbiosi. Il percorso che ci descrivono non è narrato per dire: bene, noi abbiamo fatto questa fatica e ora vi consegniamo il risultato finale, la fede nel risorto, prendetela per buona e state sereni.

Loro raccontano, piuttosto, il loro itinerario perché ciascuno possa percorrere il proprio.

Noi, però, non siamo tanto abituati a far questo. Abbiamo per lo più ricevuto un’educazione cattolica in cui ci hanno servito il “piatto pronto”, il “prodotto finito” e ci hanno chiesto di prenderlo per buono, di ripartire da lì, di credere a ciò che altri hanno ottenuto come portato finale del loro percorso di vita, del loro itinerario di fede.

I vangeli invece erano stati scritti perché ciascuno ripercorresse la sequela di Gesù, perché ciascuno vedesse il volto di Dio che rivelava nelle sue parole, nei suoi gesti, nella sua morte di croce… e perché ciascuno si mettesse di fronte al risorto, passando attraverso la paura, i dubbi, la gioia, la domanda inespressa su “Chi è costui? Un fantasma? Un redivivo? Un’allucinazione?”.

Per arrivare a pronunciarsi – ciascuno/a – personalmente circa la propria fede.

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1 commento

  1. La fatica di credere, di accettare la vita e noi stessi per quello che siamo,
    imparando a non curarci del pensiero altrui se questo vuol dire paralisi… infatti quando noi testimoniamo … veramente … possiamo solo dire quello che siamo,
    quello che abbiamo capito e sopratutto quello che abbiamo vissuto …
    E’ molto confortante capire che ciascun essere umano è di fronte al mistero
    della vita come un bambino che vuole solo giocare … e così sentirsi vivo e sentire ogni altro come una presenza che ci invita a guardarci dentro per fare di se stesso un dono.

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