La commozione di Gesù (commento al vangelo della quinta domenica di Quaresima)

Il brano di vangelo di questa quinta domenica di quaresima ci racconta la rivivificazione di Lazzaro.

Lo so che “rivivificazione” è una parola difficile da leggere (e pure da scrivere), ma è importante usarla, per ricordarci che quello che è avvenuto a Lazzaro non è la medesima cosa che avviene a Gesù con la risurrezione.

Lazzaro torna in vita, ma prima o poi morirà di nuovo.

Gesù accede, invece, ad una vita nuova, che non muore più (quella che comunemente chiamiamo la vita eterna).

Al di là di questa digressione, non ripercorro l’intero brano, che tutti/e conosciamo molto bene, tanto è famoso.

Mi soffermo solo su un aspetto: la commozione di Gesù.

Noi sappiamo dal vangelo che Gesù era molto amico di Lazzaro, ma la cosa che ha attirato la mia attenzione è che – fino a che non vede piangere Maria – Gesù mantiene un atteggiamento che appare stoico di fronte alla morte di lui:

  • lo è all’inizio, quando riceve la notizia che Lazzaro è malato («Le sorelle mandarono a dire a Gesù: Signore, ecco, colui che tu ami è malato») e decide di non precipitarsi a Betania, ma di rimanere «per due giorni nel luogo dove si trovava»;
  • lo è quando capisce che l’amico è morto e, ai suoi discepoli che invece fraintendono le sue parole («Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno»), dice «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!»;
  • lo è anche quando parla con Marta, alla quale si presenta con la certezza rassicurante di poter fare qualcosa per Lazzaro, nonostante fosse morto da quattro giorni: «Tuo fratello risorgerà […] Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».

Eppure, dopo tutto questo, quando Gesù vede piangere Maria: «e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente».

Cos’è che rompe lo stoicismo precedente? Cosa incrina la certezza rassicurante con cui si era rivolo a Marta?

Parrebbe proprio il pianto altrui…

Tanto che «molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”».

E proprio a questo punto, quando tutti/e ci aspetteremmo che la commozione sia passata perché l’urgenza di andare a vedere l’ha ricacciata indietro… proprio allora «Gesù scoppiò in pianto».

È come se Gesù fosse travolto dalla commozione e dal pianto: stando al racconto, ha deciso lui di arrivare quando Lazzaro è già morto; è sempre lui ad avere detto a tutti/e che qualcosa si sarebbe potuto fare e che lui l’avrebbe fatto. Eppure, la drammaticità della morte, scolpita sul volto della sorella della persona amata, trapassa il suo “scudo” e lo raggiunge in profondità.

Tanto che non riesce a muoversi.

Il testo, infatti, per farci notare questo sostare commosso di Gesù, introduce i commenti che intanto gli altri fanno, mentre lui è lì che piange e non si muove («Guarda come lo amava! […] Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?»).

A un certo punto, però, Gesù si muove verso il sepolcro.

Non dobbiamo immaginarcelo come un eroe che ha avuto un momento di debolezza e poi subito si è ripreso.

Gesù non si riprende affatto, tanto che il brano dice: «Ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro».

Come dicevo all’inizio, mi ha colpito molto questo coinvolgimento emotivo di Gesù, perché ci restituisce l’immagine di un Dio che non è indifferente alla drammatica umana e, soprattutto, di un Dio che non è fintamente coinvolto. La relazione è reale, le viscere si attorcigliano veramente, la commozione è incontrollabile…

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