Amati perché cambiati o cambiati perché amati? (commento al vangelo della XXXI domenica del tempo ordinario)

Settimana scorsa, leggendo la parabola del pubblicano e del fariseo che pregano al tempio, abbiamo avuto modo di chiarire chi erano i pubblicani.

Oggi, ne incontriamo uno: Zaccheo.

La sua storia è molto nota e ha edificato generazioni e generazioni di cristiani, circa il pentimento e la necessità di “riparare” il danno inferto agli altri con la propria condotta.

Ciò che, però, più di ogni altra cosa mi pare interessante è cercare di capire cosa sia questa “conversione”, come si origini e cosa produca.

Infatti, lo schemino solitamente divulgato “peccato – pentimento – riparazione del danno – perdono” mi pare piuttosto riduttivo.

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XXIX Domenica del tempo ordinario (commento) – Il vangelo è un’utopia?

Il brano di vangelo di oggi ci presenta una situazione che abbiamo già incontrato diverse volte: la fatica dei discepoli a “cambiare testa”.

L’avevamo vista nell’episodio del primo annuncio della passione, con Pietro che aveva sgridato Gesù perché parlava della sua fine tragica; era riemersa dopo il secondo annuncio della passione, quando – per strada – gli apostoli discutevano su chi fosse il più grande. E ora si ripresenta per la terza volta (proprio dopo il terzo annuncio della passione, che precede immediatamente l’episodio narrato nel brano di oggi, ma che la liturgia non riporta; Mc 10,32-34).

Chi segue Gesù è ancora convinto che il suo sia un itinerario di grandezza, di gloria, di sopraffazione degli altri, di rivalità e competizione.

Sono disposti a cambiare le regole del gioco, ma non lo scopo: vincere.

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