Tu cosa avresti fatto? (Commento al vangelo della XXVIII Domenica del tempo ordinario)

Il vangelo di questa domenica ci presenta un episodio che, per essere capito, va letto passo passo.

È molto utile provare a immaginarsi la scena.

Gesù sta andando verso Gerusalemme e attraversa la Samaria e la Galilea.

Una piccola precisazione geografica…

La Palestina era costituita da tre regioni:

– A sud, la Giudea (dove c’è Gerusalemme), la terra considerata più “santa” della Terra Santa, i cui abitanti (i Giudei) si ritenevano “più Ebrei” di tutti gli Ebrei.

– Al centro, la Samaria, la terra considerata “meno santa e meno ebrea” di tutte, essendo una zona dove, più che altrove, erano stati contratti matrimoni misti e dove la religiosità si era separata da quella ufficiale di Gerusalemme, tanto che i Samaritani (come dice Gesù stesso) erano considerati “stranieri”, cioè “non veri Ebrei”.

– Al nord, la Galilea, la terra di Gesù e dei suoi discepoli. Lì erano cresciuti e diventati adulti. Era una zona fedele all’Ebraismo ufficiale di Gerusalemme, ma considerata dai Giudei un po’ di serie B.

Gesù, dunque, per andare a Gerusalemme attraversa la Samaria e la Galilea e – strada facendo – incontra dieci lebbrosi, che – come si evince dal testo – sono originari di entrambe le regioni: vi sono sia Galilei che Samaritani.

Le regole riguardanti la lebbra, all’interno del popolo d’Israele, erano molto chiare e scritte nella Bibbia: cfr. i capitoli 13 e 14 del libro del Levitico.

In particolare, Lv 13, 45-46 dice: «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento».

È questa la situazione dei nostri dieci e il motivo per cui non si avvicinano a Gesù, ma si fermano «a distanza».

Questa legislazione, che a noi può sembrare disumana, aveva lo scopo di proteggere le città da un’epidemia (la lebbra, in realtà, non è contagiosa, ma loro chiamavano “lebbra” non quella che i nostri medici definiscono tecnicamente “lebbra”, ma diverse malattie della pelle, tra cui anche alcune contagiose).

Quando si veniva riammessi nella società?

Ce lo spiega Lv 14, 1ss, dove si dice che, una volta guarita la piaga della lebbra, il lebbroso (ormai risanato) dovrà essere esaminato da un sacerdote che poi farà una serie di riti, ecc., ecc., ecc.

Il punto è che, però, Gesù manda dal sacerdote i dieci lebbrosi che incontra, quand’essi non sono ancora guariti.

Essi, perciò, si incamminano fidandosi della sua parola.

È solo mentre sono in cammino che vengono purificati.

A quel punto le loro strade si dividono: nove proseguono sulla strada che li condurrà dal sacerdote, che – riscontrando la loro guarigione – li riammetterà in società, mentre uno torna indietro da Gesù e gli si getta ai piedi per ringraziarlo (eucariston).

La constatazione (amara) di Gesù è che solo uno, peraltro uno straniero, è tornato a ringraziare Dio. A quest’unico dice: «Alzati e va: la tua fede ti ha salvato».

Che dire di questa vicenda?

A ben guardare i nove che vanno dal sacerdote seguono alla lettera l’indicazione di Gesù. Perché, dunque, Gesù ci rimane male quando non tornano?

In fin dei conti, ci rimane male perché gli ubbidiscono… Com’è possibile?

Forse perché sperava che – come il Samaritano – anche loro andassero oltre “la lettera” e intuissero il cuore del miracolo: la guarigione non è una magia (che per funzionare ha bisogno che si seguano alla lettera tutte le formule magiche); la guarigione è il segno dell’identità di Dio, colui che riconsegna la piena umanità, che fa tornare a vivere, a relazionarsi, a esserci.

Ecco perché si aspettava che – una volta resisi conto di essere stati ri-abilitati alla vita – si comportassero da vivi (non da automi che seguono pedissequamente delle istruzioni), da esseri relazionali (grati e desiderosi di festeggiare insieme), da persone presenti (per gli altri e le altre).

Solo uno – ri-abilitato alla vita – si apre davvero alla vita, alla relazione, all’esserci… che poi è la fede.

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