V Domenica di Pasqua (commento) – Bisogna ripensare l’amore

Il vangelo di questa domenica contiene il “comandamento nuovo”: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».

A prima vista, può sembrare una semplice esortazione buonista: amatevi.

Ma, guardandole più da vicino, queste parole contengono due grosse rivoluzioni.

La prima riguarda più direttamente i/le cristiani/e: Dio, in Gesù, rivela di essere colui che ci ha amato (e già questa – di per sé – rispetto all’idea di Dio che abbiamo atavicamente introiettato è uno scaravoltamento), ma soprattutto – qui sta la rivoluzione – l’annuncio di essere amati/e non è posto a fondamento della richiesta di Dio di essere ri-amato a sua volta.

Il ragionamento – a differenza di come prevederebbe la logica – non è “Come io ho amato voi, così anche voi amate me”, ma «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».

È un po’ come se una mamma o un papà dicessero alla propria figlia, al proprio figlio, “Io ti ho amato, ora tu vai ad amare altri/e”.

Perché questo invito è rivoluzionario?

Perché diventa un appello a ripensare il nostro modo di essere umani/e credenti: tutto ciò che facciamo per Dio, tutto il tempo, tutti gli spazi che dedichiamo a ri-amare Dio dovrebbero essere sostituiti da azioni, parole, tempi e spazi da dedicare all’amore per le altre persone.

Vorrebbe dire osare ripensare la preghiera, la liturgia, la destinazione d’uso delle nostre chiese, l’organizzazione del tempo, e molto altro ancora…

Chissà se prima o poi si avrà il coraggio di farlo.

Ma, nelle parole di Gesù, è insita anche un’altra rivoluzione, che stavolta ricolloca i/le cristiani/e fra gli altri esseri umani.

Se, infatti, la questione non è amare Dio, ma amarci gli uni gli altri, le une le altre, i cristiani e le cristiane si ritrovano nella medesima prospettiva di tutte le persone che – pur fondando il loro modo di essere non sul vangelo, ma su altri riferimenti – si pongono nella vita come persone che vogliono amare i/le propri/e simili e che su questo impostano la loro vita.

Questa seconda rivoluzione, questo ricollocarsi in un consesso più ampio di quello solo cristiano, inaugura collaborazioni inedite, riallineamenti politici, compagnie nuove e allargate, che però hanno tutte il medesimo problema: cosa vuol dire amare?

Perché, o ci rassegniamo a una mera e vaga esortazione che dovrebbe orientare il nostro vivere, oppure, se proviamo a metterci sul serio ad amare, scopriamo presto che non è sempre così chiaro cosa voglia dire.

Le situazioni concrete sono così variegate, complesse e uniche che non è possibile stilare una ricetta: a volte amare vuol dire intervenire, altre invece no; in certe circostanze amare vuol dire dare / darsi, in altre sottrarre / sottrarsi.

E dunque?

E dunque bisogna ripensare all’amore.

Esso non è solo un sentimento istantaneo, ma è un processo, e come tale richiede tempo, durata… per capire, comprendere, decidere che fare, scegliere come porsi, chi essere nelle varie circostanze.

Bisogna che si faccia storia.

Accettando che – come ogni storia – non può contenere solo pienezza, luce, gioia, successi, ma anche silenzi, vuoti, distanze, fallimenti.

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