XIV domenica del tempo ordinario (commento) – Gesù era un buonista?

Il vangelo di questa domenica ci presenta un primo momento di rifiuto nei confronti di Gesù, con la sua conseguente frustrazione.

Dopo il battesimo al Giordano, l’inizio della sua missione (far conoscere Dio agli umani) gli aveva riservato un discreto successo di pubblico e di apprezzamento. Ora però, che arriva «nella sua patria», cioè a Nazareth, viene «disprezzato». I suoi compaesani sono meravigliati e increduli e si pongono tutta una serie di domande screditanti nei suoi confronti.

Perché?

Il testo dice «era per loro motivo di scandalo», anzi, letteralmente: «Erano scandalizzati di lui».

Come mai invece che essere orgogliosi di lui, sono scandalizzati? Perché invece che solidarizzare con un concittadino che sta vivendo un’esperienza luminosa, se ne dissociano?

Il vangelo non fa riferimento ad una presa di distanza rispetto ai contenuti della predicazione di Gesù o rispetto al suo agire. Gli interrogativi che si pongono evidenziano piuttosto perplessità rispetto al fatto che quello che avevano sempre conosciuto come il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone potesse ora essere diventato un rabbì molto famoso.

È un po’ come se si dicessero: Ma chi crede di essere diventato?

Questa situazione – un processo in miniatura – evoca quella ben più drammatica che Gesù vivrà a Gerusalemme, dove il rifiuto nei suoi confronti sarà radicale e avrà un esito tragico.

Comprendere allora i meccanismi “in piccolo” della vicenda di Nazareth, può aiutarci a capire “in grande” la sorte di un uomo come Gesù.

Perché – in fin dei conti – resta da chiarire come una persona che predicava buone notizie rispetto a Dio e faceva del bene a tutti quelli che incontrava, sia finito morto ammazzato su una croce (la sedia elettrica di allora) per incitamento dei membri del suo stesso popolo.

Il fatto che il vangelo non riporti elementi contenutistici di contrapposizione, ci fa capire che ciò su cui ci dobbiamo concentrare è una dinamica più sotterranea: a Nazareth nessuno lo contesta per ciò che dice e fa.

Il problema pare essere il fastidio provato per qualcosa di bello che gli sta capitando, come se il bene che succede a lui fosse un male per gli altri, come se il suo emergere sminuisse gli altri.

È chiaramente il meccanismo dell’invidia, che – credo – conosciamo molto bene anche noi.

Gesù infastidiva, veniva rifiutato e alla fine sarà ucciso, perché il suo percorso umano era troppo bello. Gli altri, vedendolo realizzare pienamente la sua umanità, invece che impararne l’arte, hanno preferito farlo sparire, sia in senso letterale (ucciderlo), ma anche in senso psicologico: fare come se non facesse parte dell’orizzonte, delle possibilità, della realtà.

Che questo fosse il meccanismo, l’aveva capito anche Pilato: «Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia», Mc 15,10.

Ma, chiarito questo e fatta una riflessione personale su situazioni simili in cui magari ci siamo trovati anche noi come invidiati o come invidiosi, resta da esplicitare quel qualcosa che il vangelo dice anche a noi, proprio nel nostro rapporto con Gesù.

Perché anche noi – seppur dentro a tutti i nostri modi devoti e ossequiosi – possiamo maltrattare la grandezza di Gesù e rimpicciolirla, sbriciolarla, farla sparire. Ogni volta infatti che riteniamo impossibile provare a vivere la sua stessa pienezza di umanità (ogni volta che diciamo “Gesù era un utopista”, “è impossibile amare come ha insegnato lui”, “Sarebbe bello se fosse vero”, ecc…), stiamo comportandoci proprio come i nazareni (“Alla fine è poi solo il figlio del falegname”) o come i capi dei sacerdoti (“Chi si crede di essere? Il Figlio di Dio?”).

Ogni volta che non impariamo la sua arte di essere umano, finiamo per ridurlo uno fra i tanti o a idealizzarlo al punto da non essere più interpellante (“Se lui ha vissuto così, è perché era Dio: noi cosa possiamo fare, non siamo mica dei?”).

Ecco questi sono i modi che abbiamo noi oggi di sfuggire alla sua proposta, di scandalizzarci che ci chieda addirittura di provare ad amare come lui, in fin dei conti, di disprezzarlo come un ingenuo, che non sa come va davvero il mondo.

Temo che anche a lui avremmo dato del buonista, così da non dover mai davvero fare i conti con il suo vangelo.

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