XXIV Domenica del tempo ordinario (commento) –

Nella lettura del vangelo di Marco che la liturgia ci propone di settimana in settimana in questo anno B, siamo giunti al capitolo 8, un capitolo cruciale. E non solo perché Gesù inizia a parlare della sua morte, ma anche perché siamo esattamente a metà del libro, che ha 16 capitoli in totale.

È proprio a questo punto che Marco pone una svolta decisiva.

Fino a questo momento infatti, Gesù si è presentato sulla scena come l’annunciatore del regno di Dio, in parole e opere, ha chiamato attorno a sé una comunità di discepoli, ha iniziato a percorrere le strade della Galilea, ha avuto anche i primi scontri, ma non è ancora chiaro a tutti chi egli sia e quale sarà il suo destino.

Gesù sente pertanto il bisogno di fare il punto della situazione, prima con i suoi discepoli e poi con la folla. Vuole sapere cosa la gente pensi di lui, cosa i suoi abbiano capito della sua missione: «La gente, chi dice che io sia?», «Ma voi, chi dite che io sia?».

Le risposte che riceve hanno una portata diversa. La gente – a detta dei discepoli – ritiene che egli sia «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti», ma chi gli sta più vicino ha capito che c’è dell’altro: «Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”», che in ebraico vuol dire “messia”.

Per sondare ulteriormente il terreno, Gesù propone però un passo in più, introducendo una questione che fino a quel momento era rimasta in ombra: «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».

Già le profezie antiche (si veda la prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia) avevano annunciato opposizioni e sofferenze, ma i discepoli, che pure sembravano aver colto più della gente chi fosse il loro maestro, reagiscono malamente a questa rivelazione: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo».

La prospettiva che Gesù sta delineando risulta inaccettabile, non rientra nelle aspettative che si erano fatti. Probabilmente speravano in un’accoglienza generalizzata del messaggio di Gesù, o forse per loro era troppo duro pensare che la persona che gli aveva cambiato la vita andasse incontro al rifiuto e alla morte. Magari temevano anche per la loro persona o semplicemente pensavano che Gesù fosse stato colto da un momento di sfiducia e pessimismo.

Gesù però non lascia cadere la cosa e rilancia, usando toni forti e determinati: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Gesù vuole che capiscano bene cosa c’è in gioco, quali siano i reali termini della questione. Ritiene che sia arrivato il momento per mettere da parte facili entusiasmi e infantili illusioni: la vita che lui propone, la vita secondo il vangelo, ha una sua durezza insita, ha in sé la fragilità e la feribilità dell’amore, rompe i meccanismi dell’egoismo, della convenienza, dei privilegi e, per questo, scatena reazioni violente.

L’amore, la giustizia, la compassione non sono buoni sentimenti che fanno stare tranquilli e ci fanno sentire più buoni, ma sono scelte, gesti, parole, stili di vita, modi di essere che ti collocano dalla parte dei più deboli, che ti mettono a contatto con il dolore e lo strazio delle persone e ti fanno attraversare sterminate fatiche…

Gesù vuole che i suoi discepoli e la folla capiscano bene che la vita che gli propone non è un’allegra scampagnata, ma un resistente fronteggiamento del male, uno spendere e uno spendersi, un perderci e un perdersi, un farsi mangiare e un andare contro corrente… ritrovandosi contrastati e non osannati, presi in giro e non ascoltati, soli (o in pochi) e non acclamati.

Ma arrivando alla fine contenti di esserci stati.

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