II Domenica del tempo ordinario – commento – Dio non è il boia

Settimana scorsa abbiamo assistito all’inaugurazione, con il battesimo al Giordano, della vita pubblica di Gesù, della sua missione. Oggi – cambiando anche evangelista – facciamo un passettino in questa “vita pubblica”: Gesù incontra i suoi primi discepoli.

Noi forse abbiamo in mente la vicenda narrata dai sinottici, per cui Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni, le due coppie di fratelli pescatori che Gesù chiama, lasciano tutto per seguirlo.

Il Quarto Vangelo – che come sappiamo ha una struttura diversa e segue un personale itinerario teologico – presenta una situazione differente: è Giovanni Battista che indica Gesù a due dei suoi discepoli (di cui uno è – appunto – Andrea, il fratello di Pietro, che per ora si chiama ancora Simone, e l’altro non è nominato). E lo indica definendolo “Agnello di Dio”.

Questa locuzione – diventata famosissima – può avere una molteplicità di riferimenti (l’innocenza, la mansuetudine, il servizio…), ma è evidente come, più che ad ogni altra cosa, rimandi all’agnello sacrificale (Giovanni costruisce addirittura la cronologia degli ultimi giorni di vita di Gesù, in modo tale da far coincidere il momento della sua morte con quello in cui nel Tempio venivano scannati gli agnelli per la celebrazione della pasqua ebraica).

È già dunque posto qui un chiaro riferimento alla fine di Gesù (e forse al fine) della sua esperienza storica: mostrare che Dio sta dalla parte dei maciullati della storia, non da quella del boia.

Eppure, chi ascolta il Battista non rimane scoraggiato, anzi.

I due discepoli di Giovanni, «sentendolo parlare così», quindi in qualche modo attirati proprio da questa idea di Dio che promanava da Gesù, un Dio che – paradossalmente – stava dalla parte dei maledetti da Dio (di coloro che erano sempre stati identificati come maledetti da Dio), decidono di seguirlo.

Gesù se ne accorge: si volta, osserva che lo seguono… e pone quindi loro una domanda: «Che cosa cercate?».

È la domanda…

È la domanda per chiunque si rivolga a Gesù, per chi si metta a seguirlo (oggi non più sulle strade della Palestina, ma nelle pagine di un vangelo o nelle parole di qualcuno che racconta di lui): «Che cosa cercate?», che cosa cerchiamo? Perché siamo qui a leggere il vangelo, questo commento, altri commenti? Che cosa cerchiamo? Che cosa cerco?

L’evangelista Giovanni ci inchioda già subito, in partenza: se si vuole intraprendere questo itinerario di sequela, questo andare dietro a Gesù tramite la lettura del vangelo, ci va una consapevolezza, una prima risposta, almeno un abbozzo di risposta, sapere perché siamo qui, perché lo facciamo, perché abbiamo deciso di farlo. «Che cosa cercate?».

I primi discepoli hanno la loro risposta (che peraltro formulano nei termini di una domanda): sono lì per sapere dove abita Gesù.

È ovvio che non vogliono conoscere il suo indirizzo, “abitare” ha un senso forte: vogliono sapere quali spazi (esteriori ed interiori) egli abiti, chi egli frequenti, chi gli è casa, per chi lui è casa… vogliono sapere chi è, conoscerlo meglio, entrare nella sua casa, cioè nella sua intimità, nella cerchia stretta di coloro ai quali è permesso entrare in casa, in quel posto – come scriveva il prof. Silvano Petrosino – dove uno può stare nudo. La casa è quello: è casa dove uno può spogliarsi (in tutti i sensi) senza vergogna. È quello che cercano i primi discepoli: entrare nella “casa” di Gesù.

E noi? Cosa cerchiamo?

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