Iperbole + Parabola (è il vangelo non matematica) – Commento al vangelo della XXVII Domenica del tempo ordinario

Il vangelo di questa domenica inizia con un’accorata richiesta dei discepoli rivolta a Gesù: «Accresci in noi la fede!».

Perché questa invocazione?

Perché Gesù aveva appena finito di dire loro: «Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».

In effetti… per seguire questa indicazione di Gesù c’è bisogno di molta fede, di molta fiducia…

Eppure Gesù ribatte dicendo che, anche con una fede piccolissima, si potrebbero fare cose straordinarie: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».

Si tratta evidentemente di un’iperbole, il cui senso però è chiaro: la fiducia non prevede accrescimenti o diminuzioni… o ti fidi o non ti fidi.

Questo non vuol dire che ci si debba buttare ciecamente, ma che – dopo aver raccolto elementi di credibilità – arriva un momento in cui ci si deve sbilanciare.

E, nei confronti della proposta di Gesù, i discepoli avevano ormai diversi motivi per ritenerlo affidabile: è ora che si sbilancino, che provino davvero a scegliere la prospettiva di vita che propone (fatta anche di quel perdono che sembrava loro impossibile).

Gesù, però, non si limita a rispondere con l’iperbole del gelso sradicato e piantato nel mare, ma prosegue con una parabola: è la storia di un uomo che ha un servo. Quest’ultimo lavora nei campi per lui e si occupa delle faccende domestiche.

La richiesta di Gesù è quella di immedesimarsi nel padrone (e non nel servo, come ci verrebbe forse più istintivo fare): «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”?».

A noi che non siamo più abituati a sentir parlare di servi e padroni, potrebbe risultare più chiara una parafrasi moderna del testo: Chi di voi se va al ristorante invita il cameriere a mangiare al tavolo? Non si aspetterà piuttosto che quello gli porti il menù e poi le pietanze ordinate, senza preoccuparsi se lui abbia mangiato prima o se mangerà dopo il turno di lavoro?

È ovvio che nessuno di noi si sentirà particolarmente in debito con il cameriere per aver fatto il suo lavoro.

Ebbene, questa ovvietà è quella che dovrebbe emergere a proposito dei discepoli e del perdono.

Ciò che sembrava impossibile (come sradicare un gelso e piantarlo nel mare) deve invece diventare la norma: il discepolo è colui che si sbilancia nei confronti della modalità di stare al mondo prospettata da Gesù e la sceglie, la fa diventare la sua modalità. Tanto che ciò che prima sembrava assurdo, ora diventa normale, ovvio.

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