Ricchi e poveri – Commento al vangelo della XXVI Domenica del tempo ordinario

Il vangelo di questa settimana ci presenta un’altra parabola.

È evidente!

Ma lo sottolineo perché è importante, leggendo, ricordarsi che siamo di fronte a una storia inventata, non a una descrizione della realtà.

Sarebbe improprio, dunque, a partire da questo testo, voler provare a intuire qualcosa sul paradiso e l’inferno.

Gesù, semplicemente, usa quell’ambientazione per raccontare la vicenda di alcuni personaggi e, in questo modo, dire qualcosa sull’aldiqua.

La parabola ha un protagonista, l’uomo ricco.

Un personaggio di spalla, un povero, chiamato Lazzaro.

Una terza figura che impersona Abramo.

Dell’uomo ricco è messa in evidenza la vita opulenta: «Indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti».

Anche di Lazzaro è messa ben in luce la condizione di estremo disagio: «Coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».

Non è detto altro, infatti, nella storia il povero muore e viene portato dagli angeli accanto ad Abramo.

Poi muore anche il ricco (del quale è detto – a differenza del primo – che viene sepolto). Egli, però, si ritrova negli inferi fra i tormenti.

Già a questo punto è necessario soffermarsi un attimo: stando al testo non c’è nessun elemento (oltre alla differente condizione) che motivi il fatto che l’uno si ritrovi con Abramo e l’altro agli inferi.

Sembrerebbe quasi una sorta di semplice ribaltamento: chi è stato bene in vita, starà male dopo la morte; chi ha sofferto in questa esistenza, starà bene nell’aldilà.

Anche le parole che il personaggio di Abramo usa per spiegare al ricco la situazione paiono andare in questo senso: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti».

In realtà, un piccolissimo indizio sulla condotta dei due è rintracciabile nella descrizione della condizione di Lazzaro: quando, infatti, si dice che stava fuori dalla porta del ricco ed era bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla sua tavola, si prosegue con un’avversativa: «Ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe», cioè non era il ricco (e nessun altro della sua famiglia) a dargli conforto, solo i cani.

Da questo primo quadro emerge già qualcosa di sconvolgente per chi ascoltava la storia ai tempi di Gesù: allora si riteneva, infatti, che la ricchezza fosse segno della benevolenza di Dio.

Questa è una convinzione antica contro cui Gesù ha combattuto con tutte le sue forze, in diverse occasioni: Egli, in tutti i modi, ha tentato di convincere che non era vero! Anzi, la sua vicinanza ai poveri e ai derelitti ha voluto essere un segno della predilezione di Dio per chi soffre.

È un’invenzione umana (dei ricchi, ovviamente) la credenza che il benessere fosse frutto della benedizione di Dio. L’accumulo della ricchezza è sempre ingiusto, secondo il vangelo; è solo un’illusione di sicurezza che andrebbe sostituita con la condivisione e la giustizia sociale.

La parabola non termina, però, qui, ma prosegue nel dialogo tra il ricco e Abramo e – da quel che si dicono – è evidente la sua redazione post-pasquale: «Padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

L’allusione al fatto che “nemmeno uno che risorge dai morti potrà persuadere” chi pone la sua sicurezza nell’accumulo delle ricchezze e ignora le sofferenze dei poveri rimanda al rifiuto della predicazione degli apostoli circa la risurrezione di Gesù.

È, dunque, istituito un nesso tra fede nella risurrezione e uso delle ricchezze.

Le prime comunità cristiane – formate da coloro che avevano creduto nella risurrezione – si pensavano, infatti, come una società alternativa, dove non c’erano più poveri, perché ogni cosa era messa in comune.

Questo legame (fede nella risurrezione – ricchezza ridistribuita) è andato, però, via via scemando nel corso della storia… e forse è su questo che noi, oggi, dovremmo tornare a riflettere.

Leggi anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *