Trinità (commento) – Abbasso la metafisica, viva la storia

Settimana scorsa, con la Pentecoste, si è chiuso il Tempo di Pasqua ed è ricominciato il Tempo ordinario, che ci accompagnerà per tutta l’estate e buona parte dell’autunno, fino alla fine dell’anno liturgico.

Questa domenica, però, la liturgia non ci riserva una domenica “ordinaria”, ma ci presenta una nuova solennità, quella della Santissima Trinità.

Le letture scelte fanno riferimento alle tre persone di Dio (vengono citati Dio Padre, Gesù Cristo, lo Spirito Santo) e anche la prima lettura, tratta dall’Antico Testamento, presenta la Sapienza come figura del Figlio, di essa infatti si dice che è stata «formata, fin dal principio, dagli inizi della terra».

È sempre un po’ difficile per me, che sono una teologa, parlare di questi argomenti, da un lato così classicamente teologici, dall’altro così lontani dalla vita di tutti i giorni.

Per quanto infatti, da un lato, sia ancora viva nel nostro mondo, nel nostro tempo, la domanda su Dio, l’interesse per Gesù e forse addirittura una risvegliantesi curiosità per lo Spirito, dall’altro lato, le elucubrazioni razionalistiche su cosa voglia dire che Dio è uno e trino (con tutte le domande annesse e connesse) appaiono piuttosto estrinseche.

Ciò è dovuto al fatto che, nel corso del XX secolo, si è finalmente data quella trasformazione della teologia che, da metafisica, l’ha portata a essere una riflessione fondata sulle Scritture e sulla storia.

È dunque alla Bibbia e alla storia della Chiesa che bisogna guardare per provare a dire chi è Dio e non alla metafisica.

Nel testo biblico, e in particolare nel Nuovo Testamento, noi abbiamo la persona di Gesù che si presenta sulla scena con una pretesa straordinaria: essere colui che rivela chi è Dio. Gesù è il rivelatore, colui che vuole far conoscere Dio agli esseri umani.

In questo suo rivelare, Gesù chiama in causa il Padre e lo Spirito.

È a partire da questo dato neotestamentario che le prime comunità cristiane hanno iniziato a pensare Dio, accettando di modificare l’idea che di lui avevano prima di aver incontrato Gesù.

Si è trattato di un’operazione culturalmente difficile: per un ebreo dire che Dio ha un Figlio e si manifesta nello Spirito equivaleva a pronunciare una bestemmia. Si poteva essere condannati a morte per la fede in un Dio non rigorosamente monoteistico.

Ciò che però convinse i primi cristiani fu la parola di Gesù: si fidarono così tanto di lui, da essere disposti a cambiare la loro idea di Dio, per quanto questa fosse quella del loro popolo, quella custodita in mezzo a genti straniere che avevano credenze diverse e che erano più forti militarmente, quella che gli avevano insegnato la loro mamma e il loro papà.

Solo che questo nuovo modo di pensare a Dio si scontrò da subito con la ragione: non si capiva bene in che rapporto stessero Padre, Figlio e Spirito Santo, se ci fosse una gerarchia di importanza o se stessero tutti sullo stesso piano e come facessero a essere tre, ma a rimanere uno.

Questo nuovo modo di pensare a Dio diventò anche oggetto di attacco e scherno da parte di chi non faceva parte della comunità dei cristiani.

Nacque perciò il desiderio di pensare a questa cosa, di chiarire, di precisare: nacque, cioè, la teologia, che si appoggiò – nelle sue riflessioni – alle filosofie diffuse nei primi secoli d.C., in particolare quella neoplatonica.

Le posizioni erano diverse, anche molto distanti, ma c’era il fermento di voler capire, discutere, scrivere… finché – come avviene sempre nella storia – si sentì l’esigenza di arrivare a un dunque. Si stabilì così, non senza conflitti, lotte di potere e intrighi, di fissare la questione in un dogma: chi non crede che Dio sia uno in tre persone della stessa sostanza, non può dirsi cristiano.

La storia poi è andata avanti, ma non possiamo qui raccontarla tutta… sta di fatto che questo è quello che ci consegnano il vangelo e la prima riflessione cristiana.

Oggi sta a noi tornare a chiederci cosa voglia dire credere in un Dio, che Gesù ci ha rivelato essere presente in tre persone, sta a noi non fermarci a una mera adesione dottrinale al dogma e provare a risalire alla sorgente biblica e storica del suo senso. Sta a noi dirci, cosa vuol dire avere una relazione con il Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.

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