II Domenica di Quaresima (commento)

Come di consueto il brano di vangelo della seconda domenica di quaresima è incentrato sull’episodio della trasfigurazione.

Quest’anno ne ascoltiamo la versione dell’evangelista Marco, che narra questo momento al capitolo 9 del suo libro.

Rispetto alle domeniche del tempo ordinario, abbiamo fatto un salto notevole: considerando che il vangelo di Marco ha 16 capitoli, saltare dal 1° al 9° vuol dire aver “saltato” metà vangelo.

Ne recupereremo la lettura dopo il tempo di Pasqua, ma ho sottolineato questo passaggio perché il brano di oggi fa da pendant con quello iniziale del battesimo.

Anche là si era udita una voce: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1, 11).

Il contenuto è per molti versi simile, perché, in entrambi i casi, vi è l’appellativo “il Figlio mio, l’amato” riferito a Gesù.

E tuttavia, mentre nell’episodio del battesimo al Giordano, la voce era rivolta a Gesù stesso, cui dava del “tu”, qui la voce si rivolge a un “voi”.

Inoltre, mentre il messaggio udito al battesimo sembrava avere un’intenzione confermativa dell’identità/missione della persona a cui era rivolto, cioè Gesù stesso («in te ho posto il mio compiacimento»), quello udito sul monte della trasfigurazione è un invito per gli altri («Ascoltatelo»).

L’impressione, in questo secondo caso, è che la conferma dell’identità/missione di Gesù sia rivolta ai suoi discepoli.

Viene da domandarsi il perché.

Perché – dopo ormai metà vangelo – viene inserito un episodio di conferma per chi ha deciso di lasciare tutto e seguire Gesù ormai da molto tempo?

Avevano dei dubbi? Erano in crisi? Pensavano di aver fatto la scelta sbagliata?

Può aiutarci, il collocare la pericope nel suo contesto.

Il brano, infatti, non inizia con “In quel tempo”, come il testo liturgico ci propone.

Inizia con «Sei giorni dopo»: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni…» (Mc 9, 2).

Sei giorni dopo cosa?

Sei giorni dopo il primo annuncio della passione (Mc 8, 27-38): sei giorni dopo il famoso episodio (posto proprio nel centro del vangelo di Marco) in cui Gesù chiede ai suoi discepoli chi dice la gente che lui sia e poi chi loro (discepoli) pensano che lui sia. Il famoso episodio in cui Pietro risponde «Tu sei il Cristo», ma – poco dopo – si sente dare del satana da Gesù stesso («Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»), perché – in disparte – lo aveva rimproverato per il suo annuncio secondo il quale «doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».

Ecco ciò che aveva creato perplessità tra i discepoli… insieme, forse, al fatto che – subito dopo il primo annuncio della passione – Gesù aveva spiegato cosa significasse essere – appunto – discepoli («Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua…»).

Da questo punto di vista, la scelta di porre questo vangelo della trasfigurazione con il suo contenuto confermante (per noi) nel tempo di quaresima acquisisce un senso evidente: siamo noi quei discepoli e quelle discepole che devono oggi confrontarsi con la morte del Figlio amato di Dio e con lo statuto del discepolato che questa chiama in causa.

Prepararsi a Pasqua vuol dire chiedersi perché Gesù (che era Dio) è morto, provando a non rifugiarsi nelle rispostine preconfezionate che ci vengono in mente, ma ponendoci sul serio la questione. E cosa questo implichi per il nostro essere suoi discepoli e sue discepole.

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