V Domenica di Pasqua (commento)

Il vangelo di questa domenica – come quello della settimana scorsa – è tratto dal vangelo di Giovanni, in un momento in cui – stando alla narrazione – Gesù è ancora vivo.

Siamo, infatti, all’interno del lungo discorso che Giovanni fa pronunciare a Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,1-17,26), in particolare nei versetti 1-8 del capitolo 15.

Sorge, dunque, la medesima domanda: perché questo vangelo nel tempo di Pasqua?

Proviamo ad approfondire.

La metafora riportata è assai nota, si tratta dell’immagine della vite e dei tralci.

Ciò che emerge con chiarezza sono i personaggi messi in scena: il Padre è rappresentato dalla figura dell’agricoltore, Gesù da quella della vite e noi da quella dei tralci.

Le espressioni che segnalano le relazioni in atto sono: l’attività dell’agricoltore-Padre (prendersi cura della vigna, tagliando e potando), quella reciproca della vite-Gesù e dei tralci-noi (rimanere: «Rimanete in me e io in voi»), quella dei tralci-noi (portare frutto).

Lo scenario è pieno di vita, è una buona notizia (un vangelo) perché mette in evidenza la nostra possibilità di fiorire, di realizzare vite in pienezza.

Il vangelo pare dire che il segreto per una vita che fiorisce è rimanere in Lui, proprio al modo in cui il tralcio rimane nella vite, facendosi prendere cura dal Padre.

Ma cosa vuol dire questo “rimanere in Lui”?

Il rischio di queste pregnanti espressioni evangeliche è, infatti, sempre quello di risultarci vuoto, lontano, di fatto insignificante per la nostra vita quotidiana… E se anche immediatamente ci suscitano qualche emozione, spesso non riusciamo ad andare molto più in là della reazione sentimentale, umorale, superficiale… e perciò stesso, passeggera… mai veramente incidente sulla nostra vita.

La questione è infatti che cosa significhi questo “rimanere in Lui” nella concretezza delle scelte, del decidere delle cose e di noi; nel vortice quotidiano delle mille cose da fare e a cui pensare; nella drammaticità delle nostre relazioni, dei nostri affetti, delle nostre idealità, del nostro corpo, delle nostre inconsistenze…

A mio parere, il “rimanere in Lui” – per come è mostrato dall’immagine vite-tralcio – significa fondare la nostra vita (sia le scelte di fondo, sia quelle quotidiane) sulla relazione personale (a tu per tu) con Lui.

Significa, cioè, porre la relazione con Lui a fondamento della nostra vita: conoscere la sua Parola, prendere parte alla sua storia, raccontargli la nostra, accogliere la sua proposta di amore e rilanciarlo verso gli altri / le altre, valutando – di volta in volta – qual è il passo evangelico che possiamo porre nella costruzione della nostra esistenza.

È questo che fa del testo un testo pasquale (pur essendo collocato prima della morte di Gesù), perché è proprio la risurrezione che dà accesso anche a noi (che non lo abbiamo conosciuto mentre era vivo in carne e ossa) a questo tipo di relazione.

A chiunque voglia veder fiorire se stesso / se stessa è data la possibilità di valutare la proposta del Signore e decidere… chi essere.

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